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 2011  giugno 05 Domenica calendario

QUEL CHE DAVVERO SERVE AL RILANCIO DI FINCANTIERI

Fincantieri ritira i 2.500 licenziamenti, ma i problemi restano tutti. E dimostrano la debolezza dello Stato quando fa l’imprenditore senza coraggio e visione. Fincantieri fa bene le navi da guerra e le grandi navi da crociera, nulla può nella produzione di serie, ieri coreana e oggi cinese. Ma le commesse militari vengono soprattutto da governi esteri che pretendono la costruzione in loco. Fincantieri può esportare know how, non manifattura nazionale. Le grandi navi da crociera, invece, vengono costruite in Europa, patria del buon gusto. Tra il 2001 e il 2008 si era aperta una lunga finestra temporale favorevole. Rilanciate dall’attentato alle Torri gemelle, le crociere avevano avuto un grande sviluppo con l’espansione dell’economia mondiale. La recessione ha tagliato questo consumo. E la domanda indebolita di navi ha spostato l’equilibrio verso il cliente. Di qui una competizione selvaggia tra le industrie cantieristiche italiana, tedesca, francese e finlandese. Una battaglia dove decidono l’efficienza industriale e le condizioni finanziarie accordate al compratore, due fronti sui quali Fincantieri soffre: gli otto cantieri di Monfalcone, Marghera, Sestri Ponente, Riva Trigoso, Muggiano, Ancona, Castellammare e Palermo sono troppi e spesso antiquati (alcuni non hanno la banchina, altri il bacino) e i 9 mila dipendenti non servono tutti per fare quello che si fa oggi; il credito all’esportazione è inferiore a quello a disposizione dei concorrenti. I 300 milioni versati a Fincantieri nel 2009 dall’azionista Fintecna, società del Tesoro, non hanno risolto nulla, perché il treno buono era passato tra il 2004 e il 2008 quando Fincantieri cercò invano di varare un aumento di capitale di 800 milioni.
Con quei soldi Fincantieri avrebbe potuto ridurre i ranghi con incentivi decenti; migliorare i cantieri migliorabili e riconvertire gli altri (a Castellammare, per dire, si potrebbe sfruttare il molo per fare il secondo porto campano per i crocieristi che vanno a Pompei); investire in progettazione di navi speciali (per esempio, le porta scorie nucleari). Ma i governi Berlusconi e Prodi volevano parte dei proventi di un collocamento che peraltro non si fece, perché nessuno riuscì a far ragionare la Fiom egemone nei cantieri e contraria all’aumento di capitale nella convinzione che gli utili risicati di quel periodo di vacche grasse potessero continuare all’infinito. Ora, nell’emergenza, la Cassa depositi e prestiti, assicurata dalla Sace, interviene per finanziare due navi per Carnival e noi stiamo a discutere se la Cassa sia il nuovo Iri o se stia facendo credito all’esportazione. Cavilliamo di questo, magari dimenticando che i cantieri tedeschi sono finanziati dalla Cassa tedesca, mentre il governo con il beneplacito dell’opposizione destina 7 miliardi l’anno a fondo perduto per vent’anni al fotovoltaico che dà lavoro a 55 mila persone, compreso l’indotto, quando con una frazione della frazione in conto capitale si sarebbe potuta rilanciare Fincantieri, che dà da mangiare a 27 mila dipendenti diretti e indiretti ed è alfiere del made in Italy in giro per il mondo.
Massimo Mucchetti