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 2011  giugno 05 Domenica calendario

IL RAGAZZO CHE SI ROVINÒ VENDENDO TUTTO TRANNE IL SUO ISTINTO

Di lui il complice malavitoso chiede, stupefatto: «Ma che cazzo c´ha in testa questo pezzo di merda del Paoloni?». La moglie ammette: «Non so di fianco a chi ho vissuto in questi anni». Gli inquirenti lo definiscono: «Un uomo ossessionato». Quelli che beffa: «Uno da ammazzare». Alla fine, e nel profondo, Marco Paoloni, anni 27, è un´altra cosa, ben più indecifrabile. Lo si capisce, appunto, alla fine, datata 21 marzo 2011, giorno in cui si gioca Benevento-Pisa. Gli scommettitori dovrebbero arricchirsi con la goleada che lui ha promesso di subire. Potrebbe recuperare debiti e reputazione nel giro. Potrebbe salvare il suo matrimonio e se stesso. Poi va in campo, s´infila i guanti e li batte uno contro l´altro, dà un colpo al palo, si piega sulle ginocchia et voilà, si dimentica di se stesso. Non è più «il Paoloni», è un portiere.
Il Paoloni è uno con un piccolo avvenire dietro le spalle. Ha giocato nelle giovanili della Roma, ha raggiunto l´Under 19. Poi ha scoperto la maledizione di avere un po´, soltanto un po´ di talento: si finisce per non piacersi mai abbastanza e soffrire in troppi confronti. La sua cura è stata il gioco, inteso come azzardo. Calcolato. Perché scommettere sugli altri quando poteva farlo su se stesso? Perché scommettere sulla propria bravura quando poteva farlo sui propri limiti? «No, beh, a parte questo, è un signor portiere», dicono comprensivi due commentatori di Sky Sport esperti di Lega Pro. Guardano Cremonese-Spezia. Con la sua squadra avanti di due gol, il Paoloni prima tentenna nel rinvio finché l´avversario gli ruba palla, poi si fa espellere per aver dato una manata all´arbitro. E lo Spezia pareggia. Solo lui, sotto la doccia, trattiene l´esultanza. Garantisce risultati ai clan degli Zingari e dei Bolognesi. Conquista fiducia grazie all´impegno e alla follia. E´ lui quello che versa il tranquillante ai compagni. Ma è sempre lui quello che lo va a prendere nella farmacia più vicina, con un´auto vistosa, facendosi riconoscere. A un certo punto la sua centralità nel giro è tale che uno degli implicati dice al telefono: «Secondo me tutto è il Paoloni». Finché sbrocca e ci sono puntate che diventano «bagni di sangue». «C´ha sfondato anche stavolta», commentano, intercettati. Si sfonda anche lui. Annaspa tra miriadi di carte Poste Pay, bancomat altrui, carte di credito svuotate. Gli revocano il fido in una banca, chiede un mutuo a un´altra. Alle telefonate dei funzionari inventa scuse sempre più esili: «Non potevo rispondere, mia figlia Giulia ha la bronchite». Falsifica la firma della moglie sugli assegni. Falsifica conoscenze che non ha. Incassa il pagamento per giocatori che non ha mai corrotto.
Garantisce risultati che non possono non avverarsi. Vuoi che l´Inter non sommerga il Lecce? «Puntate sull´over, ci stanno tutti». Finisce 1 a 0. Allora deve rimediare, per sé e per gli altri. E promette la valanga di gol in Benevento-Pisa. Facile. Sta in porta lui. Basta tuffarsi in ritardo, respingere sui piedi dell´attaccante, scivolare nel rinvio. Quante volte l´ha fatto il Paoloni? Non fosse che al suo posto scende in campo Marco, quello che non giocava più da quando aveva capito di non essere un campione. Il Benevento va avanti 1 a 0 e lui, invece di farsi bucare, para tutto. Nelle altre partite taroccate, rilevano gli inquirenti, il voto del cronista sportivo per lui era: 3. Stavolta prenderà 7. Nel secondo tempo i complici si telefonano allibiti: «Ma che fa, è scemo?», «Qui è un bordello, quello è da ammazzare».
Lo immagina, lo sa, ma non prende gol.
Dallo spogliatoio telefona alla moglie, che conosce un quarto dei suoi debiti e delle sue debolezze, e le dice: «Amo´, mi stavano addosso, ma io non gliel´ho data vinta». E scoppia a piangere. Non è un eroe. E´ il finto generale Della Rovere che riscatta una vita da cialtrone. Nel momento del tutto o niente ha voluto essere la divisa che indossava e non l´uomo che era. Nelle intercettazioni lo chiamano con disprezzo «il portinaio». E´ un portiere, che portassero rispetto questi quattro commercialisti. Quando li sente ha un cedimento, s´inventa l´ennesima bugia: «C´era uno dell´ufficio inchieste, mi controllavano, non potevo fare altro».
Non gli credono. Passano alle minacce pesanti, per lui e la figlia. E´ la fine di tutto. Il Paoloni è un uomo morto. Il portiere è ancora lì, tra i pali, a difendere l´indifendibile.
Ascolta la minaccia e risponde così: «Sì, ho inventato tutto. E allora? Ditegli di venire a spararmi». Petto in fuori. Occhi fissi al centravanti che prende la rincorsa. Dall´altra parte del filo c´è un criminale, uno che ha visto di tutto, conosciuto il peggio e che non è mai passato sopra a niente. Resta un attimo in silenzio, poi dice, e par di vederlo scuotere il capo: «Tu sei malato». Riappende. Il portiere ha perso tutto, ma per una volta ha vinto.