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 2011  giugno 05 Domenica calendario

IL RICOSTITUENTE DELLE PRIMARIE

Quando uno le pren­de alle elezioni, poi ha in genere due vie di fronte a sé. La prima è questa. Ri­cucire la ferita facendo ap­pello all’unità burocrati­ca degli apparati, esercita­re il potere per dissuadere eventuali congiurati dal passare all’azione, chiu­d­ersi con i fedelissimi e co­optare nuovi elementi fi­dati nel vecchio palazzo, scaricare il barile su altri e cercare una rivincita a suon di chiacchiere (per esempio promettere un ennesimo rilancio del­l’azione di governo, fare discorsi complicati e inuti­li sul radicamento nel ter­ritorio del partito, dire senza ironia che è colpa della tv). Mi pare una stra­da sbagliata. Una pecetta va forse bene per una sconfitta laterale, sostan­zialmente ininfluente, in un quadro di vitalità e bal­danza del tuo schiera­mento. Ma è questa la si­tuazione in cui si trova Berlusconi? L’altra via, la via reale, è rimettersi in discussione senza trucchi, cedere una quota di potere in cambio di una nuova autorità. In una parola: rilegittimarsi con un’opera di riconqui­sta democratica del dirit­to di decidere. Berlusconi ha perso altre volte, non è affatto nuovo alla sconfit­ta elettorale. Ma tutte e due le volte che ha perso con Prodi il suo carisma era fuori discussione. Era la vittima di un ribaltone, uno che non aveva avuto il diritto di svolgere un mandato, oppure un so­vr­ano boicottato e insidia­to da boiardi sui quali non era difficile scaricare ogni colpa. È ancora materia resistente, in un certo sen­so inattaccabile, il ruolo personale del Cav come deus ex machina di ogni possibile soluzione. Il mi­to della fondazione, della politica che non è mestie­re, della lingua sciolta con­tro la lingua di legno, è an­cora vivo. Berlusconi è an­cora senza alternative, sia per il suo movimento po­polare sia per il governo del Paese. Non è un turno elettorale amministrati­vo che liquida una delega politica esercitata avven­turosamente per tanti an­ni con una forte, fortissi­ma caratterizzazione per­sonale. I «liberatori» delle città d’Italia cantano a squarciagola, ma dovran­no portare una croce pe­sante per trasformare tra due anni vittorie per loro molto ambivalenti in una Reconquista. Però Berlu­sconi è significativamen­te indebolito, sta prenden­do tratti di immobilismo impressionanti, è come ri­succhiato da una logica conservatrice che lo isola e lo induce a un monolo­go ripetitivo e sempre di­fensivo, subisce un asse­dio esterno e interno sen­za che si vedano in azione risorse di fantasia e di buo­numore, fondate sulla di­sponibilità coraggiosa al rischio, che un tempo era­no una sua prerogativa, amata dagli amici e invi­diata dai suoi nemici.
Non sono state sfortuna­te elezioni di medio termi­ne. Il risultato non è dipe­so dalla crisi congiuntura­le della finanza pubblica e privata in Europa e nel mondo. È caduta Milano, il bastione della patria ber­lusconiana e nordista, e non c’è bisogno di aggiun­gere altro. A Napoli, che Berlusconi aveva cercato di reinventare come una specie di nuova capitale del Sud da curare come una figlia molto amata, un plebeista forcaiolo ha preso due terzi dei voti. Inoltre, alle elezioni parti­to e coalizione di Berlu­sconi sono arrivati male, divisi, alla fine impotenti e quasi obbligati a infilare un errore marchiano die­tro l’altro. E il capo deve assumersi l e sue responsabilità. Il vecchio mago poteva infischiarsene, rilanciare sempre, fare sì che il passato non fosse mai stato (prerogativa negata da San Tommaso perfino a Dio). Ma non è più quel tempo. Il Re deve darsi una costituzione, i l suo carisma assoluto è out .
Le primarie per eleggere il presidente del Pdl e i coordinatori regionali (il «segretario» invece deve essere designato, è il braccio esecutivo) sono uno strumento, non devono trasformarsi in una chiacchiera politicante. Strumento per cambiare decisamente. Per ottenere una delega nuova di zecca, e per ottenerla con una campagna impegnativa in cui una guida politica si misura con il consenso e con il dissenso in forma competitiva. La competizione va sollecitata, il ricambio anche generazionale va messo alla prova, i notabili devono anche loro sottomettersi al giudizio dell’elettorato. I l fatto che Berlusconi con ogni probabilità vincerebbe la competizione non la rende inutile. Si innesca un processo. Si creano bilanciamenti. Si seleziona una classe dirigente con il gusto della discussione e del contraddittorio, fuori dalle secche della infinita e circolare cooptazione. Si stanano le ambizioni sbagliate e si vanifica lo spirito di congiura che aleggia disperso nei labirinti della famosa «successione ». Si rianima ciò che è disanimato.
Se qualcuno ha una proposta diversa, altrettanto radicale e persuasiva, si faccia avanti, e la formuli. Ma piccoli rimedi per estremi mali sono quanto di più pericoloso possa capitare a chi deve esercitare una vera autorità, e conquistarsela in modo nuovo e in circostanze nuove. Il fascino di Berlusconi nella storia italiana in fondo è solo in questo: la capacità di mettersi in questione, di rischiare, di comunicare, di reinventarsi.