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 2011  giugno 04 Sabato calendario

IN TV VA IN ONDA LA POLITICA OSCURA. E I CONDUTTORI NON SANNO SPIEGARLA

Da più parti si levano voci di critica per l’andamento del dibattito politico in Italia, e in ispecie, il dibattito presente nelle trasmissioni politiche televisive, dette di «approfondimento», quelle condotte da eminenze del video, conosciute da tutti (i nomi loro e delle trasmissioni sono superflui). Tali trasmissioni— è questa l’accusa principale— non approfondiscono alcunché; ma alimentano di fatto una sorta di tumulto delle passioni scaturente dallo scontro tra gli schieramenti. Quello che manca è lo svolgimento di una discussione razionale al servizio dei cittadini, vale a dire uno scambio più o meno pacato di argomenti mirati alla ricerca della verità e alla chiarificazione dei problemi sul tappeto (e delle soluzioni prospettabili). So di mettere un pizzico di esagerazione sparando nel mucchio senza considerare la gradualità di inevitabili distinguo. Ma tant’è. A costo di apparire pedante individuo quattro fattori che inibiscono questo genere di discussione razionale. Primo. Vi è il dato ovvio (banale). L’alto livello di conflittualità tra le forze politiche provoca difficoltà alla discussione. La mente degli astanti è risucchiata dal dire cose che possano prevalere sugli avversari, in modo intransigente. La propria posizione è posta come soverchiante, senza alcuna possibilità di essere modificata dal dire altrui. Non vi è persuadibilità, il dialogo è fra sordi, ognuno dice la sua (non è un caso che i parlanti spesso si sovrappongono senza alcuna disciplina e si interrompono l’un l’altro in un chiasso insopportabile). Quello che i Greci, inventando il principio della discussione pubblica, chiamavano l’aspetto «simbuletico» (discutere insieme in vista del raggiungimento di un risultato comune) è del tutto estraneo a queste trasmissioni politiche (e nessuno se ne cura). Secondo: i politici parlano, in tutta naturalità, senza precisare i termini linguistici impiegati. Le definizioni sono pressoché assenti, e il significato delle parole è dato per scontato. Il punto è che vi è la vaghezza tipica del linguaggio comune. Questo naturalmente funziona nel contesto quotidiano della vita ordinaria degli individui. Ma tale contesto vitale viene meno quando ci si riferisce alla politica, che è una dimensione distante dall’esperienza degli individui comuni (che non conoscono i fatti di potere né le issues in gioco). Di conseguenza, la vaghezza del linguaggio comune è nefasta per la discussione razionale. Questa, per essere tale, dovrebbe includere l’affermazione di uno stile analitico consapevole dello status semantico dei termini impiegati, dove il diavolo è proprio l’imprecisione. Ma i politici, favoriti in questo dalle immagini televisive, grazie alle quali possono presentare la propria persona (da avvalorare), mirano a suscitare stati d’animo (reazioni emotive immediate), non a formulare definizioni, che potrebbero risultare noiose. Il che porta al terzo fattore. La televisione funziona per immagini, non per parole. Al centro dunque vi sono le immagini personalizzate dei parlanti. L’implicazione è che la visività— che risponde alle regole emotive di attirare l’attenzione— determina la compressione dell’articolazione linguistica. Prevale dunque il breviloquio. L’argomentazione prolungata tipica dell’oratoria politica tradizionale (premesse, inferenze, conclusioni) non è possibile sul piccolo schermo. Al suo posto subentra la piccola frase a effetto, la battuta, lo slogan, l’epiteto tagliente, l’annuncio roboante, etc.: il tutto nel quadro di una retorica elettronica dalla grammatica povera oppugnante la funzione razionale. L’ultimo fattore riguarda il ruolo del conduttore. E qui tocco un punto delicato. Vari osservatori hanno sottolineato la faziosità di coloro che conducono queste trasmissioni, il loro favorire più o meno esplicitamente una parte politica, l’imbeccare i parlanti in modo da fungere solo in apparenza da moderatori, in realtà stimolando significati (anche allusivi) che provocano urti e ostilità, che frammentano e creano incertezza sulle tesi che il conduttore, in modo prestabilito e unilaterale, ha deciso di avversare. Non entro in questa polemica, che è politica. Dico soltanto che una discussione razionale richiederebbe una figura di conduttore quale specialista del metodo della discussione collettiva: animato da un valore tecnico (e di passione civica), non di spettacolo, un disciplinatore intellettuale degli interventi, che formula interrogazioni circa le definizione delle parole, le distinzioni logiche al fine di chiarire il flusso dei discorsi e proteggere le parole dalla vaghezza e dalla irrilevanza. E ciò equilibrando le alternative proposte, sollecitando l’argomentazione con poco riguardo al prestigio dei personaggi, e mettendo in guardia dalla faciloneria e dalla demagogia imperanti.