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 2011  giugno 04 Sabato calendario

ANCHE UN RUSCELLO PER CANCELLARE LE PROVE SU NERUDA

Pinochet avrebbe ordinato di anticipare la morte di Pablo Neruda: “Non lo ha ucciso il cancro, ma i sicari del generale pochi giorni dopo il colpo di stato, 23 settembre 1973”, otto giorni dopo la fine di Salvador Allende. L’avvocato Eduardo Contreras ha chiesto al procuratore di Santiago del Cile, Mario Carrozza, di aprire un’indagine. Carrozza sta indagando su 726 “morti incerte” seguite al golpe dei militari e qualche giorno fa ha ordinato di esumare la salma di Allende. Le testimonianze sul suicidio vengono contestate da testimoni che 40 anni dopo hanno trovato il coraggio di parlare. E le indagini ricominciano a correre. Ha già scoperto che Frei, presidente democristiano prima di Allende, era sano come un pesce, nessun malore: solo veleno di stato. Al telefono ritrovo l’indignazione dell’avvocato. Era un ragazzo quando governa la campagna elettorale che fa vincere Allende. Poi l’esilio, poi il ritorno e appena a Santiago presenta la prima denuncia contro il generale autoproclamato senatore vita. “Che vergogna…”: Contreras si agitava nello studio affacciato sulla Moneda, palazzo di governo nel quale Allende è stato trovato morto. Chiede e ottiene la revoca della sua immunità parlamentare.
ORA UNA testimonianza apre il caso Neruda: dichiarazione dell’ autista del poeta, Manuel Araya: “Don Pablo è stato assassinato da agenti della dittatura. Nella clinica dove si stava spegnendo piangeva la morte del grande amico assieme ai coraggiosi che lo andavano a trovare. E gli hanno chiuso la bocca”. Se Araya ha firmato l’accusa, Contreras nasconde altre voci di conferma. Chi sono? La sua risata è contagiosa. “Non siamo in Europa. Non voglio che i miei testimoni non possano testimoniare”. Silenzio. “Posso solo ricordare il racconto firmato e protocollato di Gonzalo Martinez Corba-là, ambasciatore del Messico in Cile. Verrà in tribunale a confermarlo. Aveva visitato il poeta la sera prima. Malinconico, disarmato, ma con la forza di chi non si vuole arrendere. Lo ha salutato dicendogli: sembra uno scherzo ma da qualche giorno ho l’impressione di star meglio anche se so quale fine mi aspetta”.
Fra i visitatori di un grande scrittore a quel tempo ignorato: Francisco Coloane, Melville del Novecento. Gigante dagli occhi azzurri e buoni. Guardiano di fari, pescatore, tosatore di pecore: scriveva di nascosto. Non aveva paura di niente. Adorava Neruda. Ne ha tenuto l’elogio funebre al funerale disertato da tutti. Solo l’ambasciatore svedese, nel nome del Nobel che aveva incoronato il poeta, si è mescolato alle poche persone raccolte dietro la bara. Quando Matilde, la moglie, in quell’11 settembre ‘73 sa dalla radio della morte di Allende mentre i caccia bombardavano la Moneda, prova a nasconderla al marito. “Non volevo dargli l’ultimo dolore”. Ma capisce l’ingiustizia di rubare la verità a chi l’aveva sempre affrontata a viso aperto. Gli parla quand’è mattino, 15 settembre. Racconta la versione dei militari: suicidio. Neruda si ridesta dal torpore: “Conosco bene Salvador . Non si può essere ucciso. Lo hanno massacrato”. Si piega sul quaderno dove annota ormai solo tormenti e scrive le ultime cinque pagine della vita: il ricordo di Allende. Alla quale cronache degli anni dopo attribuiscono una visione lontana dalla realtà perché offuscata dalla disperazione. Ma il tempo passa e si comincia a scoprire che il poeta aveva forse ragione: “Il mio popolo è stato il più tradito di quest’epoca… Ovunque sia stato, i popoli hanno ammirato Allende ed elogiato lo straordinario pluralismo del nostro governo. Dall’altra parte arlecchini e pulcinella, pagliacci, terroristi con armi e catene, frati falsi e militari degradati… Bisognava colpirlo, mitragliarlo perché mai si sarebbe dimesso dalla carica che il popolo gli aveva assegnato… È andato verso la sepoltura accompagnato da una sola donna, la moglie, sulle cui spalle pesava tutto il dolore del mondo”.
QUALCHE GIORNO dopo al funerale di Pablo, la moglie non trova amici. Scappati, nascosti. Solo Coloane risponde al telefono con la voce di un gigante spaventato. “Sono rimasta sola”. Gli chiede di chiudere sul collo l’ultimo bottone della camicia del marito come vuole la tradizione cilena. E quando lo scrittore ancora sconosciuto di ‘Capo Horn’ e ‘Terra del Fuoco’, recita le parole d’addio, non si nasconde dietro il rimpianto che la prudenza poteva suggerire. “La forza della natura mi ha insegnato che i sentimenti devono resistere qualunque sia la situazione. Non bisogna aver paura di rivelarli”. E mentre Matlide si com-muoveva e Coloane guardava in faccia strani accompagnatori che registravano le sue parole, le ombre di Pinochet devastavano la casa vuota di Matilde e del suo poeta. Rubavano carte e appunti “Ed erano solo poesie…”. Casa in collina con un rigagnolo che attraversava la parte alta del giardino. L’hanno deviato per distruggere ogni ricordo. Inutilmente. Neruda è più vivo che mai e i suoi assassini stanno per essere smascherati. L’avvocato Contreras ne è sicuro.