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 2011  giugno 04 Sabato calendario

ROMA—

«Finalmente: con questi referendum siamo arrivati alla svolta culturale della società italiana» . Sta parlando dei quesiti referendari sull’acqua Riccardo Petrella? Lei che da economista è stato il fondatore del contratto mondiale dell’acqua... «Sto dicendo che nel nostro Paese si è smarrito il concetto di bene comune. E l’acqua è certamente un bene comune, come lo sono l’aria, l’educazione, la salute. L’acqua è una ricchezza collettiva che però nel nostro Paese non viene considerata tale» . Perché si dovrebbe andare a votare sì ai due quesiti sull’acqua? Cominciamo dal primo. «Andando a votare sì per il primo referendum si dice con chiarezza che non si può accettare l’obbligatorietà del soggetto privato come unico e solo gestore titolare del servizio idrico» . Lei dice no alla gestione privata dell’acqua. Ma vogliamo parlare di come ha funzionato fin ad oggi la gestione pubblica? Gli acquedotti sono dei colabrodo. Le municipalizzate dei veri e propri carrozzoni... «È vero, l’esperienza degli ultimi cinquant’anni delle municipalizzate è molto negativa. Ma questo non vuol dire che lo Stato debba derogare ai propri compiti» . Cosa intende dire? «Nell’articolo 23 del decreto Ronchi è scritto in maniera esplicita: lo Stato italiano non è abilitato a gestire il servizio unico. Questo è un vero e proprio rigetto dello Stato. Un’assurdità» . E il secondo quesito referendario? «Il secondo deve abolire una norma ancora peggior della prima. Una norma che riguarda il profitto dei gestori privati» . Il profitto è una logica conseguenza della gestione privata. «Sì, ma la nostra legge parla di stabilire una tariffa che preveda obbligatoriamente almeno il 7 per cento di profitto per il privato. E questo senza prevedere invece alcun obbligo di investimento» . Ma ci sono altri Paesi al mondo dove la gestione privata funziona in questa maniera? «Mah, forse in Cile» . E in Inghilterra? Oppure in Francia? In Spagna? In questi Paesi l’acqua non è gestita da soggetti privati? «In Spagna soltanto in maniera parziale. In Inghilterra e in Francia no, i privati gestiscono l’acqua. Ma a parte che tutte queste esperienze di privatizzazione si sono rivelate fallimentari, in nessuno di questi Paesi esiste il concetto di obbligatorietà del profitto» . Vuol dire che nessuno dei privati ha un profitto del sette per cento? «Il Thames Water, il principale gestore privato dell’acqua inglese, è arrivato ad avere un profitto anche del dieci per cento. In ogni caso bisogna tenere presente che le authorities hanno più volte denunciato i gestori dell’acqua pubblica inglese. Comunque il punto non è questo» . E qual è allora? «È lo stesso concetto del primo referendum: l’obbligatorietà. Secondo le norme che si vogliono abrogare per poter fissare una tariffa dell’acqua bisogna tenere presente un profitto obbligatorio minimo del sette per cento» . Alessandra Arachi