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 2011  giugno 04 Sabato calendario

In principio fu la Puglia, anno 2005, il rifondarolo Vendola contro l’economista Boccia, appoggiato da Ds e Margherita, prove generali delle primarie che in autunno avrebbero incoronato Romano Prodi leader dell’Unione

In principio fu la Puglia, anno 2005, il rifondarolo Vendola contro l’economista Boccia, appoggiato da Ds e Margherita, prove generali delle primarie che in autunno avrebbero incoronato Romano Prodi leader dell’Unione. E come esordio fu un disastro, con ridda di veleni e accuse da parte di Boccia di inquinamento del voto, finito con 1.300 punti di scarto a favore di Vendola. Un caso che fece scalpore, al punto da far fiorire leggende di telefonate di Prodi la notte dello spoglio per stoppare sul nascere polemiche che avrebbero potuto far crollare l’Unione con Bertinotti. E che fece anche scuola, tanto da diventare perfino oggetto di alcune tesi di laurea in terra pugliese. Ultimo in ordine di arrivo, invece, il caso Napoli, con primarie da 40 mila partecipanti azzerate per accuse di «voto distorto», con stuoli di cinesi in fila ai seggi e congerie di sospetti, visto che addirittura «si pensa ad un coinvolgimento dei clan malavitosi», come ebbe a dire lo scrittore Roberto Saviano. In mezzo a questi due apici, le primarie di Prodi, quelle di Veltroni del 2007, quelle di Renzi nel 2009 (dove anche lì si consumarono polemiche preventive tra i 4 candidati, ma l’esito fu indiscusso), quelle di Franceschini-Bersani e quelle pugliesi del 2010, con Vendola stavolta trionfatore di larga misura sullo stesso Boccia: e anche lì, per dimostrare la friabilità dei controlli un cronista locale con operatore al seguito votò a ripetizione, facendola franca in due casi su quattro. Se si prende il peggio dell’esperienza primarie si capisce perché il Cavaliere metta le mani avanti prima di dare il suo placet ad un’operazione difficile da governare, come la chiamata dei propri elettori a scegliere addirittura chi comanderà. E si capisce bene anche perché Veltroni da mesi spinga per ufficializzare lo strumento delle primarie per legge, obbligando tutti i partiti ad uniformarsi ad un metodo di scelta popolare delle varie cariche elettive. Un’idea che in queste ore fa proseliti anche nel Pdl e che sta prendendo corpo in un disegno di legge ad hoc del vicecapogruppo Quagliariello. Convinto come molti a destra e sinistra, che senza criteri omogenei per tutti le primarie creino solo confusione. E forse spinto dalla consapevolezza, diffusa nel Pdl, che le primarie obbligatorie potrebbero «far più danno» a sinistra che a destra. Perché capaci di far saltare schemi di alleanze coi centristi e di tagliare i ponti, con la loro impostazione naturalmente maggioritaria, a giochetti vari sul proporzionale cari in queste ore al Pd, al terzo polo e alla Lega. Ma se si prende il meglio della storia, si vede perché qualunque «infiltrazione» organizzata può esser pericolosa in sfide sul filo del rasoio che si decidono per un pugno di voti; ma può far poco di fronte ad una massa di 3 milioni di persone come fu nel caso di Prodi, di Veltroni nel 2007 e due anni dopo di Bersani. Perché le modalità con cui possono esser «inquinate» le primarie sono essenzialmente due: stesse persone che votano più volte in seggi diversi per lo stesso candidato; gruppi di militanti di un altro partito concorrente che si organizzano per andare a votare il candidato più «debole». Un rischio disinnescato se, come dice Cicchitto, un anno prima si creasse un albo degli elettori. Tema dibattuto nel Pd, che da mesi discute se e come «fare il tagliando», parole di Bersani, alle primarie. «Sarebbe una soluzione - ammette il responsabile organizzazione Nico Stumpo - ma l’obiezione ricorrente è che l’albo soffoca la partecipazione spontanea. Oggi chi va ai gazebo firma una liberatoria in cui si dichiara elettore e viene iscritto contestualmente in un albo. L’unico vero antidoto alle furbizie è la partecipazione».