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 2011  giugno 04 Sabato calendario

Uno dei momenti topici della metodologia storica si chiama «critica delle fonti»: essa consiste nell’esame attento e sistematico di ogni tipo di documento, nell’accertamento della sua autenticità (attraverso la «critica di provenienza» e la «critica di restituzione», l’esame estrinseco e quello intrinseco: insomma, roba seria per professionisti

Uno dei momenti topici della metodologia storica si chiama «critica delle fonti»: essa consiste nell’esame attento e sistematico di ogni tipo di documento, nell’accertamento della sua autenticità (attraverso la «critica di provenienza» e la «critica di restituzione», l’esame estrinseco e quello intrinseco: insomma, roba seria per professionisti...): una pratica dirimente prima dell’uso di qualsivoglia fonte; ed esiste una intera letteratura che lo spiega, diffondendosi in esemplificazioni. La storia, in effetti, pullula di falsi, dalla Donazione di Costantino ai Protocolli di Sion; ma se per ogni falsario, per fortuna, esiste uno storico vero che smonta i falsi documenti, rimane pur sempre il fatto che i falsi fanno la loro strada. E oggi, tanto per dire i falsissimi Protocolli dei Savi di Sion continuano indisturbati ad esser riediti in diversi Paesi del mondo. Con le conseguenze che si possono immaginare. Ora è il turno dei Diari di Benito Mussolini, i quali, benché uno stuolo dei più qualificati studiosi abbia inequivocabilmente dimostrato la natura non autentica, sono stati pubblicati da un editore con la motivazione che sono «interessanti». Ora si sa perfettamente che anche i falsi documenti possono (e sovente debbono) essere tenuti in considerazione, purché non lo si faccia come si fece, per esempio, quando smascherata la falsità dei Protocolli, ne venne distribuita l’edizione italiana con la Prefazione di uno dei peggiori antisemiti d’Italia, l’ex prete Giovanni Preziosi, il quale sostenne che magari erano falsi, ma potevano dire il vero. Il concetto di veridicità (indimostrato) sostituiva quello di autenticità della fonte. Del resto, i metodologi della storia ci insegnano che esistono documenti autentici che dicono cose false, e documenti non autentici in cui si possono trovare verità: l’importante è essere informati sulla natura del documento che usiamo, e informarne il lettore. Ora con i pretesi «diari» mussoliniani, siamo invece al cospetto di un’autentica bufala, accreditata da un editore, e spacciata in giro da un chiacchierato bibliofilo, il senatore Marcello Dell’Utri, il quale si affanna, pateticamente, da anni per «dimostrare» l’indimostrabile; ossia l’autenticità di quelle agende su cui mani abili avevano imitato la grafia del duce, inzeppandole di sciocchezze, copiate frettolosamente dalla stampa dell’epoca, sciocchezze peraltro puntualmente smentite da tutti i documenti (autentici e veridici) disponibili. Mimmo Franzinelli, studioso prolifico, ma serissimo e rigoroso, ha ora ricostruito analiticamente (fin troppo, sia consentito dire), la vicenda della fabbrica del falso, istituita in una modesta dimora di Vercelli, a casa Panvini Rosati, dove tutti, dal padre alla madre alla figliola, si dedicavano, dagli Anni 50 in poi, a una indefessa fabbrica del falso. Furono in particolare mamma e figlia, Rosetta e Amalia (detta Mimì), a ottenere eccellenti risultati «d’autore». Nella vicenda, complicatissima, si inseriscono servizi segreti, faccendieri italiani e stranieri, speculatori finanziari, tipografi disponibili, magistrati e poliziotti in caccia del vero e del falso, politici nostalgici del duce, qualche storico oscillante (vedi Renzo De Felice), giornalisti compiacenti o in caccia di scoop, anche quando fondato su false notizie: una «spy story» all’italiana, piena di colpi di scena, in cui i personaggi sono davvero tanti, da far perdere talora il filo al lettore. Una storia in scala uno a uno, quella raccontata nel libro, forse degna di altro tema, con sovrabbondanza di documentazione, anche se la vicenda è di indubbio interesse, come esempio di manipolazione della storia, attraverso l’impiego di fonti contraffatte (e contraffatte senza alcuna conoscenza dei contesti storici): il senso dell’operazione? Mostrare che il fascismo «non era poi così male», e che il duce era un «brav’uomo». Affermazioni che il lettore più attento ricorderà essere state, in tempi recenti, proferite dai nuovi potenti, di cui il senatore-bibliofilo Dell’Utri ( en passant : condannato per associazione mafiosa), è intrinseco.