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 2011  giugno 04 Sabato calendario

Courtiade, il suo cameriere, quando Charles-Maurice de Talleyrand sposò Catherine Grand, alzando gli occhi al cielo, si abbandonò allo sconcerto: «Chi avrebbe creduto che noi commettessimo una simile sciocchezza, noi che abbiamo avuto le più belle dame di Corte!»

Courtiade, il suo cameriere, quando Charles-Maurice de Talleyrand sposò Catherine Grand, alzando gli occhi al cielo, si abbandonò allo sconcerto: «Chi avrebbe creduto che noi commettessimo una simile sciocchezza, noi che abbiamo avuto le più belle dame di Corte!». Courtiade era l’improprio Leporello di un «padron mio» dissoluto e libertino, che per quante ne amasse non arrivò ai vertici di don Giovanni. Eppure furon tante. Per Talleyrand la «società» significava le donne. Nell’assiduità d’alcova non somigliava però a un vanitoso Valmont che si prestasse ai «jeux d’esprit» della perversa madame de Tourvel, «eroina» delle Liaisons dangereuses di Choderlos de Laclos. Con le femmine, a Talleyrand non importava il piacere della conquista. Era soddisfatto di provare a se stesso che il suo piede storpio, costretto da uno stivaletto in acciaio, non gli precludesse i trionfi amorosi. Come un ragno appostato agguantava la preda al momento giusto. Senza mai mostrarsi d’averla avuta vinta, a letto come nella tenzone della vita. Sapeva sorridere e tacere, parlare per allusioni. Nei momenti gravi darsi un’aria di indifferenza. Possedeva il dono della dissimulazione. E dopo una vita di intrighi, nel 1816, impiegando l’ozio concessogli da una momentanea disoccupazione politica, scrisse le sue Memorie . Non svelò nessun segreto. Raccontò se medesimo con sontuoso, formalissimo distacco. Come fosse l’esistenza di una nullità. Eppure era stato tutto. Infingardo come un gatto, aveva oliato le ruote della storia a esclusivo suo vantaggio, celandosi di volta in volta negli abiti di un personaggio: accolito, esorcista, suddiacono, abate, vescovo, ministro, gran ciambellano. Non era affatto un temperamento religioso. Mai esibì il suo agnosticismo, ma, in punto di morte, disse all’abate Dupanloup che gli somministrava l’estrema unzione: «Non dimenticate ch’io sono vescovo». L’abate, dopo le mani, stava per ungergli la fronte. A un vescovo l’unzione estrema è somministrata soltanto sul dorso delle mani. Per quanto possa apparire fuor luogo per un tipo come Talleyrand, non considerava la mondana prelatura un’ eccezione. Dovettero però dar nell’occhio i comportamenti niente affatto vescovili. Il suo fine non era certo dire messa. Quando il 1789 scompigliò le carte di Francia, andò incontro alla Rivoluzione con il pastorale e non esitò a farsi eleggere agli Stati Generali. Il poeta Andrea Chénier ricordò allora che nella sede vescovile di Autun Talleyrand aveva avuto un predecessore cui Molière si era ispirato come modello per Tartufo; Memoires di Charles-Maurice de Talleyrand-Perigord, principe di Benevento (Parigi, 1754-1838), a cura del duca di Broglie, estremo depositario del manoscritto (oggi alla Biblioteca Nazionale di Parigi), furono pubblicate per la prima volta, dopo un travagliato percorso, nel 1891-’92, cinquantaquattro anni dopo la morte del loro autore. Quando apparvero suscitarono vivaci polemiche circa la loro autenticità. Per essere riedite, con una prefazione di Paul Léon, Memoires dovettero aspettare fino al 1953-‘55. Vengono adesso mirabilmente pubblicate in italiano, in cinque volumi dall’editore Nino Aragno, a cura, traduzione, prefazione e apparati di Vito Sorbello. In una Nota all’edizione si legge: «L’indignazione contro Talleyrand è stata una ginnastica dello spirito, lo scarico di coscienza dei suoi contemporanei, così pure dei posteri. Tutti hanno provato il piacere di infierire su di lui… Talleyrand non scrive le Memorie per una sorta di rivincita postuma sulle sconfitte o sulle delusioni della vita, alla maniera di uno Chateaubriand o del Cardinale di Retz. Le sue Memorie non sono un atto di confessione o di testimonianza del suo tempo. Come dice Albert Sorel, “gli uomini come Talleyrand non compongono le loro memorie per il piacere di dire la verità”…Tra detto e non detto, tra rivelazioni e silenzi, tra mezze verità e mezze bugie, ci si deve dunque destreggiare, quando si ha a che fare con un uomo che ha fatto della dissimulazione un’arte e una maniera di vivere, il segno di un calcolo e di una strategia».