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 2011  giugno 04 Sabato calendario

VALENTINA CONTE

ROMA - «Se queste sono le richieste, allora ritiriamo il piano industriale». Sono passate da poco le 13 e Giuseppe Bono, amministratore delegato di Fincantieri, cede «per esorcizzare le tensioni», dice. Un applauso liberatorio esplode come un boato nel corteo dei duemila lavoratori arrivati a Roma da tutta Italia e bloccati a pochi metri dall´Arco di Costantino da decine di agenti in tenuta antisommossa. Il Colosseo sullo sfondo, il cellulare in mano per avvertire le famiglie, una Roma assolata nel ponte di festa. E un unico grido: «Lavoro, lavoro». Per ora, niente chiusure dei cantieri di Sestri Ponente e Castellammare di Stabia. Nessun ridimensionamento di Riva Trigoso. E, soprattutto, salvi i 2.551 posti di lavoro in esubero. Per ora.
«Il piano presentato nei giorni scorsi non era una novità per nessuno», si difende Bono, spiegando le ragioni del ritiro. «Sono una persona che si assume le proprie responsabilità, ma con gli attacchi subiti da tutte le parti, da destra e sinistra, anche la mia forza viene meno». Il tavolo tra governo, azienda e sindacati dura una mezz´ora. Accanto a Bono, ci sono il ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani, Maurizio Landini della Fiom e i leader della Fim e della Uilm e anche Cgil, Cisl e Uil, oltre ai rappresentati di Confindustria e di sei dicasteri, dal Lavoro alla Difesa. Per motivi di sicurezza, con i capi di Stato stranieri giunti nella Capitale per il 2 giugno, la riunione si svolge all´Eur, nella sede distaccata del ministero di Romani, in viale Boston. Fuori c´è un gruppo di lavoratori campani, molti in cassa integrazione da un anno. «Se chiude Fincantieri muore Castellammare», si legge sui cartelli. Più in là, il corteo si muove verso il Colosseo. In testa il sindaco di Genova, Marta Vincenzi, Pd. Ma anche quello di Casarza Ligure, Claudio Muzio, Pdl. E alcuni consiglieri regionali della Liguria, come Edoardo Rixi, della Lega.
«Il ritiro del piano è una grande soddisfazione, ma è solo il primo passo», commenta Giorgio Cremaschi, Fiom. Così, gli altri sindacati. «Aspettiamo di affrontare il rilancio del gruppo, ma intanto è stato rimosso un grosso ostacolo», dice Marta Vincenzi. «Il ritiro del piano ha lo scopo di restituire serenità, ma non esistono ricette miracolose», gela gli entusiasmi la Fincantieri che ribadisce come il piano non fosse «frutto di improvvisazione, ma di riflessione approfondita» delle condizioni del mercato. «Il ritiro era un passaggio obbligato, ma l´85% di ordini in meno su Fincantieri è un dato di fatto», gli fa eco il ministro Romani, che al termine della riunione, in mattinata, è sceso in strada e, megafono alla mano, ha annunciato agli operai campani l´esito del tavolo. «L´obiettivo è trovare nei prossimi mesi soluzioni condivise con livelli occupazionali adeguati», assicura. «E, comunque, anche senza soluzioni condivise non ci sarà la chiusura di nessuno stabilimento». Il ministro chiede all´azienda «nuove soluzioni industriali», garantendo il sostegno per gli investimenti che si renderanno necessari, la proroga degli ammortizzatori sociali e la ricerca di risorse ulteriori dall´Unione europea. E conferma l´apertura di due tavoli regionali, in Campania e in Liguria.
Si infiamma, intanto, lo scontro politico. Da una parte il Pd che accusa il governo di aver sottovalutato la crisi di Fincantieri. Dall´altra il Pdl che con Fabrizio Cicchitto, capogruppo alla Camera, pretende una spiegazione dall´ad Bono. «Proprio alla vigilia delle elezioni ha proposto un piano del tutto provocatorio dal punto di vista sociale e adesso lo ritira. Una persona responsabile non lo avrebbe neanche avanzato».

ROBERTO MANIA
ROMA - Voleva fare come Sergio Marchionne, ma ora rischia di portare i libri della Fincantieri in tribunale. Quella di ieri per Giuseppe Bono, 67 anni, calabrese, manager di Stato nella prima e nella seconda Repubblica, già socialista (Giuliano Amato il suo sponsor) e poi "cane sciolto" con un buon ascolto da parte di Gianni Letta e tentato dai richiami leghisti, è stata la giornata del clamoroso dietrofront. Bono ha detto che il suo piano, quello con 2.500 tagli di posti di lavoro e la chiusura di due impianti, non c´era più. L´ha ritirato dal tavolo per ragioni di ordine pubblico, per riportare «serenità». Ma non l´ha sconfessato: se non arriveranno nuovi ordini di navi - è la sua tesi - la strada porta dritti al fallimento. Scenario - in un mercato globale ormai trainato dai produttori cinesi e coreani - per nulla rassicurante per le migliaia di dipendenti Fincantieri.
E ieri Bono ha sostanzialmente rotto anche con il governo, o viceversa. Tanto che si è parlato molto di possibili dimissioni. Con il titolare dello Sviluppo economico, Paolo Romani, l´ad di Fincantieri non si è mai preso; con quello del Lavoro, Maurizio Sacconi (comune il passato socialista), ha mantenuto il filo del dialogo, ma certo l´illustrazione del piano proprio a ridosso del voto amministrativo trasformatosi poi in una disfatta per il centrodestra, non è mai stata compresa. A Bono, l´esecutivo - che peraltro da mesi era stato informato - rimprovera di aver sottovalutato l´impatto sociale della riorganizzazione aziendale, di non aver capito il legame strettissimo dei cantieri con le città di Genova e Castellammare. «Ha sbagliato - spiegavano dagli uffici dei ministeri - pensando che fosse una ristrutturazione come quelle degli anni 80, con chiusure ma anche possibilità di ricollocazione. Oggi non è più così: oggi se si chiude non c´è altro».
E con il ritiro del piano svaniscono pure le ambizioni "marchionnesche" del manager formatosi all´Efim. «Da noi - dichiarò qualche mese fa - un operaio lavora 190 giorni e 170 no. Ha ragione Marchionne». Anche Bono ha lasciato Confindustria, più per beghe locali che - come disse - per disattenzione sui temi della produttività. Ma da ieri Giuseppe Bono è un boiardo semi disarcionato e il futuro della Fincantieri dipende ormai solo dal governo. Mentre Sergio Marchionne dall´Ohio ha annunciato di aver restituito il prestito ad Obama e che la Chrysler nel 2012 potrebbe tornare in Borsa. Fincantieri non ci andrà. Anche questo era un sogno di Bono.