
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
È in corso, tra la provincia di Belluno e la Siria, una storia patetica quant’altre mai e che dobbiamo pregare Iddio non diventi tragica…
• Di che si tratta?
Un padre bosniaco e musulmano, immigrato da noi a fare l’imbianchino, che si converte alla jihad e parte per la Siria portando il piccolo con sé. Cioè: va in Siria a combattere, col bambino dietro, e un giorno viene ammazzato dai soldati di Assad, sicché il bambino resta nelle mani di quei tagliagole…
• E la madre?
Vede una foto in rete e lo riconosce. Allora si fa intervistare da La7, poi di foto se ne scopre un’altra, i giornali cominciano a parlare, sulla faccenda indagano i carabinieri e dicono che molto probabilmente quel bambino è proprio lui. Fanno sapere che è in corso una trattativa, come se si trattasse di un sequestro. La madre è disperata…
• Ma raccontiamo bene dall’inizio, per favore.
L’inizio è questo Ismar Mesinovic che, emigrato dalla Bosnia, arriva a Longarone, provincia di Belluno, luogo tragicamente famoso per la diga del Vajont. Fa vari lavori, s’arrangia, poi offre servizi da imbianchino, campa, conosce quindi un’immigrata cubana di nome Lidia Solano Herrera, si innamorano, si sposano. Nessuno dei due, a quanto racconta adesso lei, fa caso alle differenze di religione, nessuno pensa che i due Iddii in cui credono giocheranno loro il più drammatico dei tiri. C’è un precedente, però: il padre di Mesinovic è morto durante la guerra in Bosnia, qui è la prima radice di quanto accadrà in seguito. Mesinovic infatti, che deve essere un uomo inquieto, è spinto da quel lutto a cercare una qualche verità, una qualche ragione di vita, va perciò a sentire le prediche delle guide musulmane, e un giorno a Pordenone resta fulminato dalle parole di un Bilal Bosnic, che parla bene e trasmette il messaggio dell’Islam più radicale, quello in cui si dice che la giustizia di Allah arriverà un giorno fino a piazza San Pietro. Mesinovic torna a casa quasi sotto choc e comincia a confidarsi via internet con Bilal, il quale di mestiere fa proprio il reclutatore di anime perse da inviare nel Califfato. È facile convincere il bosniaco a frequentare il Centro islamico Assalam di Ponte alle Alpi, dove trova altri fedeli pieni di passione. La moglie dice di non essersi mai accorta di niente. Il marito le è sempre apparso normale. È affettuosissimo col bambino, nato subito dopo il matrimonio, cioè nel 2011, un bellissimo piccolo che è stato chiamato Ismail. Già dal nome, tuttavia, si capisce che nella coppia prevale di regola l’opinione di lui, e prevale parecchio, si direbbe, perché alla domanda se lui la maltrattasse, Lidia chiede di non rispondere… In ogni caso, al Centro islamico Assalam, Mesinovic conosce un Munifer Karamaleski, macedone di 26 anni che abita a Chies d’Alpago. È un fanatico assoluto e i due, montandosi a vicenda, si persuadono che l’unica soluzione è partire e infatti un anno fa, in occasione del Natale, partono sul furgone di Karamaleski e si portano via il bambino…
• Ma com’è possibile…
La madre dice adesso che Ismail aveva seguito il padre altre volte in Germania o in Bosnia e non era mai successo niente. Kamereski aveva poi caricato sul suo furgone tutta la famiglia. Non c’era ragione di sospettare… il Natale precedente (2012) lei aveva portato il bambino a Cuba dai suoi e quindi sentiva che adesso – Natale 2013 – lui aveva maturato un certo diritto a portare Ismail in Bosnia. Ho dimenticato di dirle che nel frattempo i due s’erano separati… Basta, arrivati in Bosnia ci restano quattro giorni, poi partono di nuovo, dicono di essere diretti in Macedonia, invece prendono la via della Turchia, di qui passano in Siria e si fanno combattenti… Mesinovic muore il 4 gennaio scorso, ad Aleppo, in uno scontro a fuoco con i siriani.
• E il bambino?
I jihadisti, quando hanno un bambino con sé, si fanno giurare da qualche amico che, in caso di loro morte, questo amico si prenderà cura del piccolo e non lo cederà a nessuno. Sappiamo il nome di questo amico: si chiama Said Colic ed appare in una delle due foto che la madre ha riconosciuto: un gigante con un barbone nero a cavallo di una moto, tiene il piccolo Ismail accantato a sé. Il piccolo Ismail si guarda intorno con aria persa. La stessa aria che ha anche nell’altra foto, dove tiene per mano qualcuno e indossa una felpa nera col cappuccio, sulla fronte la fascia dei combattenti Isis on scritte arabe, pantaloni militari, in pugno un piccolo mitra giocattolo. Quelli dell’Isis hanno messo le foto sul sito, le adoperano per farsi propaganda. Rendiamoci conto che Ismail ha tre anni. I carabinieri indagano, le trattative sono in corso, ma il padrino di Ismail, questo Said Colic, finora ha risposto sempre di no.
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