il Giornale, 23 dicembre 2014
Dopo Moncler, Report torna all’attacco della moda italiana, e spara a zero sulla maison Gucci. Secondo quanto denunciato dalla trasmissione di Milena Gabanelli, nella filiera toscana del marchio della doppia G non vengono utilizzati solo artigiani in regola, ma anche lavoratori cinesi sottopagati
Dopo aver «spiumato» Moncler, Report torna all’attacco della moda italiana, e spara a zero sulla maison Gucci. Secondo quanto denunciato dalla trasmissione di Milena Gabanelli, nella filiera toscana del marchio della doppia G non vengono utilizzati solo artigiani in regola, ma anche lavoratori cinesi sottopagati. «Tutto ciò è falso e diffamatorio, noi difendiamo il made in Italy», replica la Maison che da anni è controllata dal colosso francese del lusso Kering, rivale di Lvmh, ma produce il 100% della pelletteria nel nostro Paese, dando lavoro a oltre 7mila addetti, tra fornitori di primo e secondo livello, per il 90% italiani.
Report ha intervistato, appunto, un subfornitore italiano di Gucci, Aroldo Guidotti, secondo il quale gruppi di lavoratori cinesi – assunti per quattro ore e coperti da prestanome – arriverebbero a lavorare fino a 14 ore al giorno, permettendo un taglio dei costi che di fatto taglia fuori la concorrenza degli artigiani toscani, nell’indifferenza di chi dovrebbe controllare e sanzionare. E dopo di lui ha parlato un cinese, presentato come il «socio occulto» dell’artigiano italiano.
La Maison contrattacca: «Accordarsi a insaputa di Gucci con laboratori che utilizzano manodopera cinese a basso costo e non in regola – sabotando i sistemi di controllo in essere – è una truffa dalla quale Gucci si dissocia e che perseguirà in tutte le sedi, impegnandosi a rendere sempre più efficaci le azioni conseguenti alle ispezioni, che saranno sempre più numerose». E ricorda che proprio all’azienda di Guidotti, Mondo Libero, era stato chiesto da Gucci di sanare irregolarità relative al personale, emerse a seguito di controlli, e che questi aveva risolto il problema. L’’azienda inoltre si dissocia «nel modo più assoluto» dai contenuti e dalla forma del servizio: la trasmissione condotta da Milena Gabanelli «non ha mai posto a Gucci alcuna domanda pertinente su quanto da cinque mesi stava girando. Telecamere nascoste o utilizzate in maniera inappropriata, solo in aziende selezionate ad arte da Report (tre laboratori su 576), non sono testimonianza della realtà Gucci». La Gabanelli insiste:«Più che dissociarsi Gucci dovrebbe ringraziarci, per aver documentato e denunciato quello che avrebbero dovuto fare i loro ispettori».
Ma l’azienda replica punto per punto: tutti i fornitori di primo e di secondo livello «vengono regolarmente controllati (circa 1.300 verifiche l’anno, anche notturne) sul rispetto delle regole e il corretto trattamento delle persone». C’è poi, come già per i piumini Moncler, la questione prezzi: gonfiati ad arte, secondo Report, che fa l’esempio di una borsa pagata 24 euro all’artigiano e venduta in boutique a oltre 800 euro. Comparazione errata, ribatte Gucci: «i 24 euro citati dal servizio si riferiscono solo all’assemblaggio parziale, e non non considerano minimamente, ad esempio, il costo della pelle, il costo del taglio, quello degli accessori, il confezionamento, la spedizione e tutto quanto necessario a rendere la borsa disponibile in negozio, fattori che moltiplicano fino a 25 volte quel numero».
A differenza di Moncler, comunque, il titolo di Kering non ha subito alcun danno: alla Borsa di Parigi ha guadagnato lo 0,84 per cento. Ma anche questo servizio di Report è rimbalzato sui social network, con «cinguettii» pro e contro l’azienda. In difesa della maison si schiera il governatore della Toscana, Enrico Rossi: «È uno scandalo che si dica “Toscana zona franca“» ha twittato. «Report non sa di cosa parla – ha scritto ancora – La Regione Toscana controlla a Prato 10 aziende cinesi al giorno, e Gucci è un’azienda seria». Sulla stessa linea, Franco Baccani, presidente sezione Pelletteria di Confindustria Firenze: «Gucci opera da sempre per promuovere la legalità e la trasparenza della filiera in questo territorio. No a facili sensazionalismi he mettono a repentaglio il Made in Italy».
La storia di Gucci inizia nel 1921, quando Guccio Gucci apre la valigeria di lusso a Firenze. La notorietà internazionale arriva negli anni ’60, con le creazioni esclusive per le signore del jet set, da Jackie Kennedy a Grace Kelly. Ma negli anni 90, il gruppo va in crisi: l’ultimo erede dei Gucci, Maurizio- che sarà ucciso di lì a poco - vende alla finanziaria araba Investcorp. Comincia l’era del duo «Dom e Tom», l’ad Domenico De Sole e lo stilista Tom Ford, che risollevano Gucci dalla bancarotta e ne fanno il terzo gruppo mondiale del lusso, un’icona del made in Italy. Intanto la proprietà cambia ancora: nel 1999 il gruppo francese Ppr (poi Kering) guidato dalla famiglia Pinault entra nel capitale della maison. Ne acquisirà il controllo pochi anni dopo, battendo il rivale Bernard Arnault, numero uno di Lvmh,e la totale proprietà nel 2006. É di pochi giorni fa, infine, l’addio della coppia- nel lavoro e nella vita- che ha guidato Gucci negli ultimi anni: l’ad Patrizio Di Marco e la stilista Frida Giannini.