la Repubblica, 23 dicembre 2014
«Con il cyber-attacco alla Sony Kim Jong-un ha distratto il mondo dai suoi crimini e dalle violazioni dei diritti umani». Parla il giornalista americano Blaine Harden, che ha svelato i segreti più feroci del regime nordcoreano con il bestseller "Fuga dal campo 1-4"
Quello di Blaine Harden è un nome che i generali di Pyongyang hanno imparato a conoscere bene. E a odiare. Se non altro da quando il giornalista americano, per molti anni firma di punta del Washington Post, ha svelato i segreti più feroci del regime guidato da Kim Jong-un con il bestseller Fuga dal campo 1-4 (edito in Italia da Codice), in cui racconta la storia di Shin Donghyuk, l’unico uomo che mai sia riuscito a fuggire dai lager nordcoreani, uno dei pochi a sfidare il giovane dittatore a viso aperto.
L’attacco alla Sony, la paura di Hollywood, le minacce di Pyongyang: davvero i nordcoreani sono in grado di danneggiare seriamente i sistemi informatici dell’Occidente?
«Diciamo che per effettuare l’assalto alla Sony, hanno avuto molto tempo. E poi si sono esercitati, per così dire, nel 2009, con alcuni attacchi informatici contro le banche sudcoreane. Però non credo che siano in grado di mettere seriamente a rischio il sistema informatico occidentale. Quello che colpisce è un’altra circostanza».
Quale?
«Il tempismo. Proprio in questi giorni c’è il voto al Consiglio di sicurezza Onu dove si deciderà se incriminare Pyongyang per violazione dei diritti umani. In sostanza, la vicenda di questi giorni è una efficace campagna di distrazione. Si può dire che l’attacco alla Sony è il più grande successo in politica estera del regime nordcoreano. Perché ora tutti parlano dell’ affaire Sony e guardano altrove, ossia lontano dall’essenza del sistema nordcoreano: che è fatto di un popolo che muore di fame, è fatto di repressione e violenza ad un livello che ha pochi precedenti».
È credibile che i leader di Pyongyang si sentano “offesi” per il film “The Interview”?
«Stiamo parlando di un paese ossessionato dal cinema. Lo era notoriamente il padre dell’attuale dittatore, Kim Jong-il, lo è anche il figlio. D’altronde, devo dire che persino io mi sento offeso: non l’ho visto per intero, ma non è mai successo che si vedesse il volto di un leader friggere e poi esplodere tra le fiamme. Ci sono molti grandi film che si potrebbero fare sulla Corea del Nord: ecco, questo non lo è».
Crede che prima o poi qualcosa possa cambiare in Nord Corea?
«Un giorno il regime collasserà. Il quando dipende dalla Cina: ma il rapporto con Pechino da un po’ di tempo sta diventando più difficile, che da parte sua ha intensificato quello con la Corea del Sud. Questo mentre le possibilità di un cambiamento interno, una sorta di primavera, o di un ‘89 sono quasi inesistenti».
Perché? C’è anche chi parla di una nuova strategia a Pyongyang...
«Kim sembra avere il potere strettamente nelle sue mani. Alcuni analisti dicono che stia pensando di mettere in atto riforme in campo agricolo, per affrontare il drammatico problema della mancanza di cibo. Si parla anche di piccole enclave imprenditoriali controllate, sul modello cinese. Quello che cambia lo scenario è che ora i nordcoreani – al contrario del passato – sanno come si vive al di là dei confini: e questo grazie alle soap opera cinesi, ai dvd, alla diffusione dei prodotti elettronici. C’è bisogno di repressione perché il popolo “sa”: e questo è uno sviluppo di importanza cruciale».