23 dicembre 2014
Addio a Joe Cocker. Il cantante dalla voce graffiante si è spento nel suo ranch in Colorado, ucciso da un tumore ai polmoni. Una vita passata a fare musica, assumere droga, coltivare pomodori e allevare maiali. Ritratto del Leone di Sheffield
• John Robert Cocker è morto nella notte fra domenica 21 e lunedì 22 dicembre. Aveva 70 anni e a lungo ha combattuto con un carcinoma polmonare [Lanfranchi, Cds]. Era stato Billy Joel, durante un concerto lo scorso settembre, a dire pubblicamente che le sue condizioni di salute non erano buone. [ilfattoquotidiano.it]
• Il primo a dare l’annuncio della morte del cantante è stato il sito ufficiale della Bbc [Iannacci, Lib].
• «Era semplicemente unico, sarà impossibile riempire il vuoto che lascia nei nostri cuori» (così Barrie Marshall, manager al suo fianco da trent’anni).
• Da qualche tempo non si avevano sue notizie; ma il declino artistico inevitabile per un profilo come il suo di interprete puro e non troppo addentro ai giri infernali dei risorgimenti musicali, ha finito per incontrarsi con il malaccio maledetto, che se l’è portato via dopo una lunga battaglia, nel suo ranch in Colorado dove aveva trovato la pace insieme con la sua vera salvezza: la seconda moglie Pam, che con somma pazienza aveva saputo tirarlo via dagli innumerevoli vizi che lo affliggevano fin dalla gioventù ribalda [Venegoni, Sta].
• «Non fatevi ingannare: i segni che ho sul braccio sono punture di zanzara» (così l’esordio al concerto di Milano nel luglio del 1972) [Luzzatto, Cds].
• Il «Mad Dog Ranch», in Colorado, prese il titolo di un suo epico album live degli anni Settanta: era un caffè aperto al pubblico ma anche una tenuta dove si coltivava ogni ben di Dio. Lì allevava cavalli ed era orgoglioso dei suoi maiali che pascolavano liberi sui declivi della proprietà, il cruccio era uno solo: «Ma quando moriranno così grandi come sono diventati, dove mai li potrò seppellire?» [Vengoni, Sta]. Lì conduceva una vita (relativamente) tranquilla per un artista che non voleva mollare la musica [Lodetti, Grn] e gestiva anche una fondazione per l’aiuto all’infanzia [Lanfranchi, Cds].
• Un giorno Pam torna al ranch con una scatola, dentro c’è un iPad: «Hanno inventato un computer per vecchietti, finalmente potrai usarlo anche tu». Joe Cocker, che ormai vive da più di un quarto di secolo tra le montagne del Colorado si entusiasma: «La prima cosa che ho fatto è stato tentare un downloading. Volevo scaricare alcune canzoni di Nina Simone e Donny Hathaway ma disorientato ho schiacciato il pulsante sbagliato e ho comprato un brano di Katy Perry. Che disastro!» [Rep, 4/10/2010].
• Nato a Sheffield nel 1944, in Inghilterra, Cocker inizia la carriera musicale nella sua città natale, all’età di 15 anni; la sua prima band è quella pionieristica degli Avengers con la quale si esibisce non con il proprio nome ma con lo pseudonimo di Vance Arnold [Iannacci, Lib].
• «Lui, ragazzo di campagna che grazie a quella voce era finito a furor di popolo prima a cantare nei pub (di giorno faceva il benzinaio), e poi, con la sapienza, nelle cover di Chuck Berry e di Ray Charles, era arrivato con la sua band, nel 1963, al ruolo di supporter dei Rolling Stones in un concerto a Sheffield; da lì era stata tutta una pedalata non priva di fatiche verso il palco della gloria suprema, a Woodstock, dove con la sua versione di With a Little Help From My Friends dei Beatles – le braccia lanciate in fuori in modo sgraziato ma spontaneo, la criniera leonina, la barba, gli autentici ruggiti di cui infarcì l’interpretazione – incantò per sempre quel mare di teste un po’ fatte un po’ sognatrici che popolavano il leggendario raduno dell’agosto ’69» [Venegoni, Sta].
• Leone di Sheffield, il suo soprannome, per via della sua criniera.
• «Mi sono rivisto su YouTube in un vecchio concerto con Eric Clapton ed ero orrendo con quelle braccia che si agitavano. Credo che dipenda dalla mia frustrazione per non aver mai suonato il piano o la chitarra. Se mi vedi adesso non sono più cosi agitato, ma resta un modo per tirare fuori i sentimenti, mi emoziono e tutto passa attraverso il mio corpo» (nel 2011 a The Guardian) [Lanfranchi, Cds].
• «Tutte quelle cover dei Beatles che incidevo per avere un successo di riflesso… Ma piacevano e i ragazzi di Liverpool non hanno mai avuto da ridire su quel che facevo. Lennon apprezzò la mia With a little help from my friends. Anche McCartney disse che mi stimava molto». [Venegoni, Sta] «Era un ragazzo del nord che amavo molto. Amavo il suo modo di cantare. Quando mi fece ascoltare la sua versione di With a Little Help… fu qualcosa di pazzesco. Gli sarò sempre grato per questo», lo ha ricordato così Paul McCartney [Lanfranchi, Cds].
• John Belushi, il genio, che al Saturday Night Live ne fece un’irriverente e spassosissima imitazione. Lo impersonava in modo travolgente e quasi offensivo, muovendosi come un uomo in preda a una crisi, al suono della canzone che ha reso celebre in tutto il mondo: With a lite help from my friends [Iannacci, Cds]
• A metà degli anni ’70 la carriera di Cocker ha però un primo tracollo a causa di una serie di problemi soprattutto legati all’alcol e alla droga: il cantante viene ricoverato più volte in clinica e la sua vicenda pop sembra finita [Iannacci, Lib]: «Avevo una dieta a base di liquidi», aveva ironizzato tempo dopo. E anche la sua situazione finanziaria era vicina al tracollo nonostante nel 1974 avesse piazzato un’altra hit: quella You Are So Beautiful scritta per lui da Billy Preston [Lanfranchi, Cds].
• «Non si era fatto mancare niente in fatto di stravizi, il vecchio Joe, da quell’epoca e per molti anni ancora. Droga certo, eroina e cocaina, ma coltivando sempre l’amore per la patria birra, anche se era ormai diventato un americano di tutto punto. E fumava le Marlboro rosse, tante» [Venegoni, Sta]. «Sono stato terribile e, certo, non mi mancano quei giorni. Ma la vita è fatta di esperienze, belle e brutte. Tutto sommato sono stato fortunato» [Molendini, Mess]
• «A primavera pianto pomodori, quella è l’arte che mio padre mi ha insegnato, sapevo farlo anche prima di cantare. Ne coltivo una varietà enorme – anche trenta di diversa dimensione, colore e sapore – faccio arrivare i semi da ogni parte del mondo. A Sheffield ormai non ci torno mai. I miei amici non capirebbero perché il vecchio Joe non può più andare al pub» (a Videtti, Rep. 4/10/2010).
• È il duetto Up where we belong brano scritto da Buffy Saint Marie e Will Jennings, e cantato con Jennifer Warnes per il film Ufficiale e gentiluomo a rilanciare in grande stile Cocker che vince addirittura il premio Oscar per la miglior canzone, nel 1983. Poi con You can leave your hat on, scritta da Randy Newman, Cocker torna in auge nel 1986 con la canzone guida del film 9 settimane e 1/2. Con la sua voce graffiante e sexy come sottofondo, è impossibile dimenticare la splendida Kim Basinger mentre si spoglia al cospetto di un assatanato Mickey Rourke [Iannacci, Lib].
• La Regina d’Inghilterra nel 2007 lo nomina Ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico, per i suoi meriti musicali: onorificenza quanto mai meritata, per un signore che ha frequentato il diavolo e lo ha guardato negli occhi [Assante, Rep].
• «Una decina di anni fa, nella sua ultima visita in Italia, il nostro solito pacato colloquio era durato a lungo soltanto con un bicchiere d’acqua minerale, e senza nemmeno una sigaretta; anche il pancione gonfio era scomparso, Pam aveva fatto di lui un signorino» (Marinella Venegoni).
• Uno dei Paesi che lo accolse con maggior partecipazione, in questa sua seconda vita professionale, fu l’Italia, grazie alla mediazione di Zucchero che, con l’entusiasmo del fan, ritagliò la sua musica e il suo personaggio sulla sagoma di Joe, incrociandolo spesso, a volte duettando con lui, prendendolo come modello di riferimento. C’è un altro cantante italiano con cui Cocker ha duettato, Eros Ramazzotti, che nel ’98 lo recuperò per That’s All I Need to Know [Molendini, Mess].
• «In questo momento mi stanno passando per la mente i tantissimi ricordi, le emozioni che abbiamo vissuto assieme. Mi sento soltanto di dire che Joe era mio fratello di sangue di anima e di cuore. E devo a lui il coraggio di insistere con l’amore e per l’amore del blues» (Zucchero).
• «Egli resta nel rock un interprete imbattuto, una leggenda vocale paragonabile solo a Janis Joplin. Questo suo spirito blues, quasi soul che arriva dal nord dell’Inghilterra ha continuato ad affascinare per quella sua carica di rabbia e disperazione che colpiva al cuore come in Feels Like Forever scritta per lui da Bryan Adams. È stato un interprete travolgente, da Feelin’ Alright dei Traffic a Shelter Me, dalla superfamosa You Can Leave Your Hat On che accompagnava lo spogliarello di Kim Basinger in 9 settimane e ½, a Unchain My Heart. A volte divagava, improvvisava assoli e ricami vocali di rara efficacia. (…) Molto spesso manager di pochi scrupoli lo hanno mandato allo sbaraglio nel nostro paese quando le sue condizioni fisiche e artistiche erano pessime. Il pubblico è stato ingannato da produzioni mediocri, amplificazioni orrende, band raffazzonate, solo per sfruttare il mito» [Luzzatt, Cds].
• «Ho passato tempi duri ma amo straordinariamente il mio mestiere. Continuerò a cantare, fino a quando avrò un po’ di voce per poterlo fare, finché ci sarà qualcuno disposto ad ascoltarmi» [Assante, Rep].