Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
L’ultima verità sul caso Scazzi è quella che le televisioni e le agenzie di stampa gridano da venerdì notte: il padre Michele, convinto dal suo avvocato e dalla criminologa Roberta Bruzzone, ha parlato per cinque ore con i magistrati, sostenendo che l’assassina di Sarah è la figlia Sabrina e che lui s’è limitato a occultare il cadavere. Lo strangolamento sarebbe avvenuto a mani nude, e solo dopo sarebbe stata stretta al collo di Sarah una cintura da uomo «bianca e lunga». Il contadino Michele ha dato agli inquirenti le indicazioni necessarie per ritrovare tutto. La scientifica ha adesso in mano la cintura-arma del delitto, la corda con cui il cadavere della ragazzina fu calato nel pozzo, le famose chiavi della macchina che non si riuscivano a trovare.
• Dove stavano questi oggetti?
Le chiavi, nella cavità di un albero d’ulivo prossimo al pozzo dove fu nascosto il cadavere. La cintura, nella Marbella di Michele. La corda, nel bagagliaio dell’Opel Astra della moglie Cosima. Mi domando come siano state fatte le perquisizioni: nessuno è andato a cercare nelle macchine dei protagonisti? Mi auguro anche che le risposte fornite da Misseri durante questo ultimo interrogatorio non siano state suggerite dagli stessi magistrati, come è accaduto in precedenza. La storia, messa così, ha più coerenza, anche se resta il mistero sul luogo del delitto. Gli inquirenti insistono sul garage.
• Lei non ci crede?
Nel garage non sono state trovate tracce biologiche di Sarah, il che potrebbe essere semplicemente il risultato di una pulizia molto accurata. Non è chiaro comunque perché Sarah sia scesa in garage. Misseri, in base a queste sue ultime dichiarazioni, a quell’ora era in salotto a dormire, come al suo solito. Secondo quello che ha raccontato, l’avrebbe svegliato di colpo la figlia, con l’annuncio di aver ammazzato l’amica. Il garage entra in gioco solo nelle sette confessioni successive, probabilmente per tener fuori la famiglia, ma la logica dice che il delitto dovrebbe essere stato compiuto in casa. È più coerente: arriva Sarah pronta per andare al mare, le due litigano, Sabrina la strozza, corre a svegliare il padre, subito dopo scende in strada per bloccare Mariangela che doveva andare al mare con le due. La tiene lontana da casa facendole fare un paio di giri di palazzo. Intanto, in famiglia, si nasconde il cadavere.
• In famiglia?
Già, c’è il ruolo della madre di Sabrina, la moglie di Michele, l’imperscrutabile Cosima. Posizione molto grave, a questo punto: la corda è stata trovata nel bagagliaio della sua Astra. Se il delitto è veramente avvenuto in casa, la madre avrà aiutato Michele a nascondere da qualche parte il corpo, mentre la figlia teneva lontana Mariangela. In quei minuti, Michele si sarà fatto convincere a prendersi la colpa, e a collocare altrove la scena del delitto. In quel lasso di tempo deve anche essere stato deciso il movente, cioè la storia delle molestie, non si capisce più a questo punto se completamente false. Sentiremo martedì, quando il tribunale del riesame discuterà la richiesta di scarcerazione avanzata dagli avvocati di Sabrina.
• Sabrina ha forza sufficiente per fare quello che le si imputa?
Sarah era uno scricciolo di 40 chili. La presunta assassina parrebbe piuttosto forte. Che la maltrattasse, che la prendesse normalmente a parolacce si sa da precchie testimonianze.
• Ci sono altre prove, contro Sabrina, a parte l’accusa del padre?
La Procura dice di averne otto e le giudica schiaccianti. La prima riguarda la posizione della ragazza all’arrivo di Mariangela: Sabrina dice che si trovava sul patio, l’amica racconta invece che era in strada, per di più agitatissima. Altri due punti riguardano il racconto di Concetta, la mamma di Sarah: Concetta giura di non aver mai detto per prima «L’hanno presa, l’hanno presa!» e soprattutto ricorda di come Sabrina le avesse raccontato che i suoi genitori non erano in casa. Falso, dicono tutti gli altri testimoni, come poi è costretta ad ammettere la stessa Sabrina. C’è poi l’esito dei tabulati: Sabrina dice di essere stata sempre con Mariangela quel pomeriggio, i loro telefonini dicono il contrario. La quinta prova riguarda i tentativi di depistaggio: Sabrina prima aveva cercato di far cadere i sospetti sulla badante rumena della famiglia Scazzi, poi sui parenti di San Pancrazio, quindi sul padre di Sara, Giacomo, che lavora a Milano. La sesta sono i diari nascosti per giorni, da cui si capiva quanto le due litigassero. Settima prova: Sabrina ha taciuto l’alterco furioso avuto con la cugina la vigilia della scomparsa. Infine, quella strana intercettazione ambientale nel giorno in cui fu ritrovato il telefonino: «Lì ci sono le mie impronte». Anche se lei, poi, ha spiegato: «Era una constatazione, non uno sfogo. Chissà quante volte l’ho tenuto in mano, era chiaro che c’erano anche le mie impronte». A ben guardare, si tratta di indizi – grossi indizi – ma non ancora prove. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 7/11/2010]
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