Elisabetta Rosaspina, Corriere della Sera 07/11/2010, 7 novembre 2010
DESIGN, VETRINISTI E RIUNIONI ALL’ALBA. VIAGGIO IN GALIZIA NEI SEGRETI DI ZARA
Il «caveau» di Zara è al pianterreno di un palazzo di cristallo, la centrale operativa dell’ impero creato 35 anni fa da Amancio Ortega, l’ uomo più ricco di Spagna, in un tranquillo e industrioso angolo della Galizia. In fondo all’ «Avenida de la Moda», il fac-simile di un centro commerciale, dove si affacciano i negozi pilota del gruppo, e subito oltre una neutrale porta bianca scorrevole, che pare quella di un ascensore, si preparano nel massimo riserbo le vetrine dei prossimi mesi. I nuovi manichini, i nuovi modelli, le nuove scenografie, i nuovi colori e accostamenti che, a febbraio, già segneranno le tendenze della primavera nei 4.800 negozi distribuiti in 77 nazioni. È la zona più segreta del «pentagono Inditex», aperto alle visite delle scolaresche, dei futuri manager internazionali, dei ricercatori di Harvard. Ma generalmente off limits per la stampa. Eppure bisogna venire fin qui, circolare tra le undici fabbriche del gruppo, nel Poligono de Sabon, dove si producono oltre 300 milioni di capi l’ anno e se ne distribuiscono più del doppio (confezionati altrove in Europa, in Asia e in America), attraverso sofisticati programmi computerizzati e piattaforme logistiche, per cercare di capire la «filosofia Zara». Che, per colpa (o merito) di un barista geloso non si chiama «Zorba»: era quello, in onore del film di Cacoyannis, il nome prescelto, nel 1975, da Amancio Ortega e dalla sua prima moglie, Rosalía Mera, per la loro neonata impresa artigianale. Ma «Zorba il greco» già figurava nell’ insegna di un bar della zona, e la coppia si ingegnò a trovare un altro logo per la sua bottega, utilizzando le matrici ormai pronte. Fin dall’ inizio, non si buttava mai niente, in quella che era destinata a diventare la terza compagnia del listino Ibex, con 93.976 dipendenti in tutto il mondo e un fatturato di oltre 11 miliardi l’ anno. Crisi o non crisi. Lo stesso spirito di austerità marca le giornate dei 3.000 lavoratori di Arteixo, 300 dei quali sono disegnatori: due terzi lavorano per Zara (donna, uomo e bambino), gli altri per le marche sorelle di Zara Home e Uterqüe, le boutique della casa e degli accessori. Vengono da 30 Paesi diversi, realizzano 18 mila modelli all’ anno, hanno mediamente 27 anni e un concetto guida in testa: «Il cliente è il motore» riassume Jesus Echevarria, responsabile della Comunicazione. Ciascuno di loro può ritenersi (magari a ragione) l’ Armani del futuro, ma quel che conta è il risultato delle quasi cinquemila «riunioni nipponiche» che, ogni mattina, si svolgono in tutti i negozi Zara del mondo: «La direttrice e il personale discutono su come sono andate le vendite il giorno precedente - spiega Echevarria che, come tutti i dipendenti Inditex, dirigenti inclusi, ha sperimentato due settimane di pratica da commesso -. Si raccolgono informazioni sui modelli di maggior successo e su eventuali richieste ricorrenti: mettiamo, una gonna bianca a pieghe. Due ore dopo le informazioni arrivano qui, 8 ore dopo i capi pronti ordinati da ciascun negozio sono pronti per l’ invio, 36 ore dopo si consegna in Europa e 48 ore dopo nel resto del mondo. Mentre i disegnatori lavorano sulle gonne a pieghe. Sappiamo in tempo reale che cosa vogliono i clienti». L’ unico caso in cui Amancio Ortega non ha fretta è l’ apertura di un nuovo negozio, pur avendone inaugurati soltanto l’ anno scorso 377: «Ma la localizzazione deve essere perfetta, a costo di attendere tutto il tempo necessario per ottenerla» assicura Echevarria. Per aprire la sua nuova sede in via del Corso, a Roma, Zara ha aspettato che sloggiasse la Rinascente. Solo le vie migliori e i dirimpettai più prestigiosi. Meglio se si tratta di riqualificare ex cinema, ex teatri o edifici storici. Ma dicono che Amancio Ortega, come Paperon de’ Paperoni, ami soprattutto il suo numero 1: il primo negozio, all’ angolo tra via Juan Florez e viale Arteixo, a La Coruña. A due isolati dalla camiceria Gala, dove 57 anni fa iniziava a lavorare come fattorino.
Elisabetta Rosaspina