Morya Longo, Il Sole 24 Ore 7/11/2010, 7 novembre 2010
SUI MERCATI IL DOMINIO DEL TRADING ELETTRONICO
«Negli Stati Uniti esistono vari listini con un milione di opzioni azionarie quotate, ognuna delle quali produce 5 prezzi al secondo. Come può l’occhio umano seguire un mercato così? Si tratta di 5 milioni di prezzi diversi ogni secondo. Ovvio: servono i computer». Benvenuti nel mondo dove la realtà supera la fantascienza: quello dei mercati azionari. Philippe Buhannic, amministratore delegato di TradingScreen, nella fantascienza ci vive da sempre: è lui ad avere portato, negli anni ’90 quando lavorava al Credit Suisse, il trading elettronico sul mercato azionario. Ma neanche lui, il padre del computer in borsa, avrebbe mai immaginato che in circa 20 anni a Wall Street sarebbe praticamente scomparso il genere umano: calcola Tower Group che oggi l’uomo da solo, con il metodo tradizionale del telefono, produce appena il 24% degli scambi azionari. Per tutto il resto serve il computer. Anzi: il 53% dei volumi di borsa – stima Aite Group – sono realizzati autonomamente dalle macchine e dai loro sofisticati algoritmi. E questo, sostiene Buhannic, da un lato è un bene: «Il mercato è ora molto più efficiente di un tempo». Ma, potenzialmente, è anche un pericolo: «Le autorità devono regolamentare il trading elettronico e algoritmico, altrimenti il rischio è che le macchine causino effetti domino sui mercati». Intanto lui guarda avanti: «Ora il trading elettronico deve andare nel mondo obbligazionario».
Il flash crash
Un assaggio del possibile effetto domino è arrivato lo scorso 6 maggio, quando – per colpa dei trading algoritmici, di quelli high frequency e della framentazione dei mercati – Wall Street crollò di 600 punti in pochi minuti, trascinando con sé incredule tutte le borse mondiali. Non era accaduto niente nel mondo reale per giustificare quel crollo improvviso: semplicemente si erano succeduti e incastrati ordini di vendita a valanga da parte dei computer. A catena i vari algoritmi facevano partire le vendite, fino a far crollare alcuni titoli del 100% in pochi minuti.
Le Autorità di vigilanza Usa hanno ricostruito per filo e per segno cosa è successo quel giorno, ma la scintilla di quello che gli americani hanno ribattezzato «flash crash» non è stata ancora realmente individuata. Dunque qualcosa di altrettanto devastante può accadere ancora. «Per questo – spiega Buhannic – servono nuove regole. Non ingombranti, perché non si deve fermare il progresso. Ma qualcosa bisogna fare. Il problema è che qualcuno gioca troppo duro con i trading elettronici. E non è giusto che chi ha i mezzi economici per avere le macchine più sofisticate possa trarre eccessivi vantaggi a scapito degli altri».
Dall’uomo alla macchina
Il progresso, però, ha portato molti vantaggi alle borse. Un tempo il mercato azionario era una bolgia di broker che comprava e vendeva per conto dei clienti nel parterre delle borse di tutto il mondo. Scene ben note a chiunque abbia mai visto il film «Una poltrona per due»: urla, grida, confusione. Inefficienza. Errori umani. Rischi. Un investitore che voleva acquistare azioni doveva alzare il telefono e chiamare il broker, questo a sua volta chiamava il suo referente in borsa e il contratto si chiudeva.
Questo sistema aveva numerose lacune. Innanzitutto i broker avevano informazioni privilegiate: quando qualche grosso investitore chiamava per comprare o vendere grandi quantitativi di azioni, gli intermediari – sapendo che il titolo in questione si sarebbe poi mosso – potevano sfruttare l’informazione per specularci sopra. Ma anche al netto della malafede, con il sistema "antico" quando un grosso ordine di acquisto o di vendita arrivava sul mercato muoveva il titolo a scapito dell’investitore che aveva lanciato l’ordine. «Si calcola che mediamente l’impatto sul mercato dei grossi ordini fosse a quei tempi dello 0,30-0,35% – spiega Buhannic –. Se a questo costo per l’investitore si aggiungevano le commissioni pagate ai broker, si arrivava a un esborso totale dello 0,70%. E questo, per grossi ordini, significava costi enormi».
L’avvento del computer in un primo momento non ha ridotto l’impatto sul mercato, ma in un secondo tempo – grazie ai trading algoritmici – l’ha più o meno dimezzato. I computer sono infatti oggi in grado di spacchettare i grossi ordini di acquisito o di vendita in borsa, e di comprare le azioni nei momenti migliori per minimizzare l’impatto di mercato. Il tutto in millisecondi.
Alla velocità della luce
Piano piano i computer hanno reso possibili operazioni di compravendita che ai tempi delle grida non erano neppure immaginabili. Questo ha aumentato i volumi in borsa, migliorando l’efficienza del mercato: se oggi qualunque risparmiatore che vuole vendere o comprare azioni trova un prezzo facilmente, è merito dei computer che muovono quantità inimmaginabili di azioni ogni secondo. Con gli anni si sono poi moltiplicate le strategie "automatizzate" di trading. Solo nel mondo degli algoritmi ci sono varie metodologie, più o meno aggressive.
Poi sono nati gli high frequency trading, che pompano ordini da milioni e milioni sui mercati in pochi millisecondi, in modo da guadagnare dai micro-movimenti delle azioni e da lucrare dalle inefficienze dei mercati. Negli ultimi tempi sono anche state create le «machine learning»: computer in grado di imparare dai propri errori. «Se un tempo gli investitori guadagnavano solo scegliendo le azioni giuste, oggi che il trading è elettronico si possono fare utili semplicemente con la velocità di esecuzione». Non conta più solo che azioni scegli, importa quanto veloci le muovi.
Ma ogni medaglia ha un risvolto. «Il vero problema è se qualcosa si inceppa – osserva Buhannic –. Il trading elettronico a mio avviso è una buona invenzione, ma se viene usato male non va bene». Per questo servono regole. A quel punto si potrà esportare il computer anche su altri mercati, per esempio su quelli obbligazionari o dei derivati. «Quello del reddito fisso è oggi il mercato meno efficiente al mondo – osserva Buhannic, che ha appena lanciato la piattaforma Galaxy per far transitare gli ordini su corporare bond europei –. Credo però che il modello esistente sull’azionario arriverà anche qui». Le sfide non finiscono mai per l’uomo che portò il computer a Wall Street.