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 2010  novembre 07 Domenica calendario

ALL’ALITALIA CONVIENE CONSEGNARSI AD AIR FRANCE - C’è

una sola compagnia aerea europea nel cui logo campeggia una corona reale, ma quella compagnia non è di proprietà di quella casa reale. E neppure più di quel Paese. Fu infatti venduta un po’ di anni fa a un’altra compagnia, più grande e di un Paese straniero, che successivamente è stata privatizzata ed è divenuta una public company. Il massimo dell’orrore per i nostri nazionalisti economici, ma alla regina di quel Paese non venne in mente di porre veti. “It’s the economy, stupid” (“è l’economia, stupido”, ndr) direbbe l’anziano presidente Clinton alla classe dirigente de noantri che è insorta in massa di fronte all’idea di Rocco Sabelli di suggerire nel 2013 agli azionisti di Alitalia una fusione con Air France.
HA DUNQUE FATTO MALE la regina Beatrice d’Olanda, la cui corona sormonta tuttora il logo di Klm (Koninklijke Luchtvaart Maatschappij, Compagnia reale di aviazione), a non opporsi nel 2003 alla fusione con Air France? Si è impoverito in questi otto anni il sistema del trasporto aereo olandese? È crollata l’occupazione di piloti, hostess e personale di terra? I turisti internazionali diretti ad Amsterdam sono stati forse dirottati da Air France su Parigi? A queste domande è possibile rispondere, numeri alla mano.
In primo luogo bisogna dire che l’aggregazione dei due vettori ha creato vantaggio complessivo al gruppo. Non solo è divenuto il primo in Europa grazie alla fusione ma ha anche registrato la crescita maggiore dal 2003 a oggi: alcuni punti in più rispetto al secondo gruppo, Lufthansa, e una crescita più che doppia rispetto al terzo vettore, British Airways. Ma il dato che sorprenderà i nostri nazionalisti economici è che all’interno del gruppo Air France-Klm, il vettore olandese è cresciuto più della compagnia che lo ha aggregato (30 per cento complessivo contro il 27 per cento di Air France). Per quanto riguarda invece l’occupazione, è aumentata nel periodo sia per l’intero gruppo che per il vettore incorporato. I dipendenti totali del gruppo, che erano nell’anno della fusione 102 mila, sono saliti a fine 2008 a 107 mila, un numero impressionante rispetto a quelli di Alitalia. Di essi, sempre a fine 2008, 33 mila riguardavano Klm, 3 mila in più rispetto al 2005.
Quali sono stati invece i risultati di Alitalia nello stesso periodo? Ricordiamo che il nostro vettore ha mancato l’aggregazione con Klm alla fine degli anni Novanta, una prima aggregazione con Air France nei primi anni di questo decennio e una seconda nel 2008, quando Jean-Cyril Spinetta, amministratore delegato di Air France fu messo in fuga dai proclami nazionalistici a difesa dell’italianità. Tra il 2003 e il 2009 Alitalia ha perso un quarto del traffico passeggeri (includendo anche AirOne nel calcolo), un terzo dei suoi dipendenti e oltre un terzo della sua quota di mercato. Inoltre è costata ad azionisti e contribuenti tra il 2003 e il 2007 oltre 2,6 miliardi di euro di perdite complessive ai quali debbono aggiungersi ulteriori 3 miliardi circa di costi dell’operazione di salvataggio che è stata condotta nel 2008. Come risultati con-seguiti dal nazionalismo economico, che ha protetto il vettore di bandiera dalle aggregazioni e dalle regole del mercato, si tratta di dati davvero impressionanti.
ORA SIAMO DI NUOVO al punto di partenza: si potrà evitare per la quarta volta in poco più di dieci anni (e per la terza volta con Air France) un’aggregazione internazionale? Il mercato dice no, a differenza della nostra classe dirigente, considerando tutti gli scenari possibili, dal peggiore al migliore. Scenario peggiore: il percorso attuale di risanamento fallisce. Chi potrà permettersi di tentare di nuovo il risanamento se non un grande operatore del settore, con solide spalle industriali e grandi risorse finanziarie? Nessuno. Scenario migliore: Sabelli riporta il bilancio in attivo, una missione che era ritenuta impossibile. Ma poi l’azienda dovrà tenere il passo col mercato, crescere almeno come la domanda, possibilmente di più. Chi metterà a disposizione i consistenti capitali aggiuntivi necessari all’azienda per crescere? Nel 2010 la quota di mercato di Alitalia è poco sopra il 21 per cento (nel 1995 era al 50 per cento) tra qualche anno il mercato sarà raddoppiato, fenomeno che si realizza all’incirca ogni decennio, quindi l’azienda di Colaninno e Sabelli dovrà essere grande almeno il doppio di quella attuale. Chi metterà i soldi per ottenere questa crescita? I sostenitori dell’ “italianità”? Gli attuali azionisti di Cai? I contribuenti italiani? La Cassa Depositi e Prestiti?
Non sarebbe invece meglio lasciar fare al mercato, come l’esempio delle linee aeree reali olandesi nel 2003 dovrebbe insegnare ?