Giorgio Santilli, Il Sole 24 Ore 7/11/2010, 7 novembre 2010
ARCO DELL’EUR SEGNO DI PACE
Torna la proposta di realizzare a Roma l’Arco disegnato da Adalberto Libera per l’Esposizione universale del 1942 e abbandonato per le difficoltà tecniche di realizzazione prima e per l’interruzione dell’intero progetto dell’E42 poi. A rilanciarla è il Cesar, Centro studi architettura razionalista, che già nel 2006, con il progetto «Eur interrotta», aveva proposto il compimento di quel disegno urbanistico. L’istituto ha commissionato uno studio di fattibilità dell’arco che donerà nei prossimi giorni al sindaco della Capitale, Gianni Alemanno, per dar seguito all’ordine del giorno del consiglio comunale votato a maggio. Lo studio prende a modello la versione di Libera del marzo 1938, che presenta un’altezza di 120 metri, con una struttura in cemento e «carpenteria metallica». Il costo stimato è 72 milioni, finanziabili con un project financing che metta a valore un museo dell’architettura del ’900, ristoranti, bar, bookshop, parcheggio interrato, piazza concerti da 150mila persone, spazi commerciali.
La proposta non è solo ingegneria o valorizzazione immobiliare dell’area intorno al Palasport (che intanto è escluso dai progetti olimpici per il 2020). Il Cesar prova a rimuovere quel che viene considerato un ostacolo politico e culturale alla realizzazione del monumento, vale a dire la mitologia di un arco trionfale proposto a celebrazione delle conquiste imperiali fasciste. Nella ricostruzione storica fatta con lo studio L’arco della concordia traspare l’intento di una de-fascistizzazione dell’Arco, che viene riproposto in una chiave priva di ideologia ed esclusivamente urbanistica, sostenendo che già così fu concepito nel 1937-38 quando doveva rappresentare la «porta sud» della città.
Se fu Benito Mussolini a indicare la data del 1942, per festeggiare nell’occasione il ventennale del regime, a volere l’Esposizione Universale era stato Giuseppe Bottai. Già nel 1935, all’atto del suo insediamento a governatore di Roma, aveva proposto un’idea diversa dell’Esposizione, «aperta a tutte le scienze, a tutte le arti, ad ogni genere di lavoro e di attività lungo la zona che si protende verso il mare di Ostia». Una proposta in cui il valore propagandistico non era certo assente, volendo segnare il nuovo «carattere fascista» della città, e che tuttavia presentava un tratto urbanistico prevalente con lo sviluppo verso sud-ovest e il mare, per esempio con la nuova «via imperiale», la Cristoforo Colombo. Un’idea – quella dello sviluppo a sud-ovest della città – che ancora oggi è il perno dell’espansione urbanistica della Roma di Alemanno.
Anche l’idea dell’Arco conteneva all’interno temi non di rado contraddittori e ambigui. Da una parte le soluzioni tecniche prospettate, che si alternarono dal 1937, non arrivarono mai al livello di fattibilità. Dall’altra, il significato duplice dell’opera, celebrativo delle gesta fasciste per un verso e simbolo di quella espansione urbanistica nel segno della pace voluta da Bottai per l’altro.
Il «dualismo» dell’arco era già insito dalle prime mosse. «Un arco spettacolare» in ferro fu presentato nel marzo 1937 da un gruppo composto da Ortensi, Pascoletti, Cirelli e Covre, mentre a marzo 1938 arrivò il progetto in cemento firmato da Libera e Di Berardino.
All’operazione di laicizzazione del monumento tentata ora dal Cesar torna utile il successo avuto negli Stati Uniti: c’è la copia realizzata a Saint Louis, Missouri, e persino il simbolo di Mc Donald nato proprio dalla figura stilizzata (e raddoppiata) della versione americana dell’opera. Americano è anche il rilancio recente del dibattito sull’arco a Roma: Nikos Salingaros, urbanista, professore di matematica all’Università di San Antonio (Texas), noto per le campagne anti-archistar, lo ripropose ad Alemanno nell’intervista al Sole 24 Ore del 30 ottobre 2009, all’interno della campagna per il Memoriale ai caduti di pace.
Da qui il collegamento fatto dal Cesar al tema della pace. L’Arco – sostengono gli storici e gli architetti del centro studi – non fu concepito come arco trionfale, per esaltare le conquiste dell’impero fascista, ma mosse i primi passi come «arco della pace» e «arco della concordia». Il centro studi è andato così a recuperare dagli archivi di stato documenti dell’epoca per supportare questa tesi. Il 18 dicembre 1938 «L’Illustrazione italiana» pubblica un articolo che dà conto del progetto dell’arco di Libera. «Qui è veramente l’auspicio di un mondo concorde e pacificato, permeato di un profondo spirito di collaborazione, proteso dalla volontà di raggiungere quell’elevazione morale e quel benessere materiale che vengono all’umanità soltanto dalle feconde opere di pace. Qui ogni popolo vigile della sua prosperità pone il proprio vessillo in un’apoteosi di piena solidarietà con gli altri: è il Viale della Città delle Nazioni nell’Esposizione universale del 1942».
Già un anno prima, il 21 dicembre 1937, Marcello Piacentini, che faceva parte del gruppo incaricato di redigere il piano dell’E42 e l’anno successivo ne sarebbe diventato direttore (il padre dell’Eur in sostanza), scriveva a Vittorio Cini, commissario generale dell’ente E42: «L’Arcone, simbolo di pace e universalità, potrebbe irradiare la luce da centinaia di riflettori collocati in fondo nel suo estradosso».