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 2010  novembre 07 Domenica calendario

ANCHE LE TORRI DI BOLOGNA NELL’ITALIA CHE TREMA

No. Non esiste una vera e propria mappa del rischio per i nostri disastrati beni culturali, cioè quel patrimonio che la Costituzione (articolo 9) ci obbligherebbe a tutelare e valorizzare. Manca una lista che abbia il sigillo del dicastero fondato da Giovanni Spadolini. Spiega Gisella Capponi, direttore del prestigioso Istituto per la Conservazione e il restauro fondato da Cesare Brandi: «Un’ idea delle priorità è nell’ elenco degli interventi previsti, continuamente però oggetto di tagli e revisioni... Non abbiamo un monitoraggio reale». Si lamenta Alessandra Mottola Molfino, presidente di Italia Nostra: «Senza manutenzione e con i fondi inesistenti, tutta Italia è a rischio. Si salvano solo San Pietro a Roma e il Duomo di Milano che hanno due Fabbriche impegnate a seguire ogni piccola crepa e a intervenire subito». E la presidente dell’ associazione fondata da personaggi che si chiamavano Elena Croce, Giorgio Bassani e Umberto Zanotti Bianco non rinuncia a una battuta: «Le responsabilità del ministero per Pompei sono enormi. Meno immagini virtuali e più finanziamenti concreti per la manutenzione». Poi, un sospiro: «Qui si sbriciola tutto, sembra che il Paese sia stato divorato da chi ha cercato il compromesso per il tornaconto personale dimenticando l’ obbligo del bene collettivo» L’ allarme degli archeologi E così, per avere un’ idea di massima dei beni a rischio, occorre incrociare diverse banche dati e indicazioni. A maggio l’ Associazione nazionale archeologi ha stilato una propria mappatura che, ovviamente, si limita ai beni più antichi: massima parte delle indicazioni riguardano inevitabilmente il centro-sud, ma non solo. Aquileia ad Udine, Megara Hyblaea a Siracusa, le colonne doriche di Taranto e l’ acquedotto dell’ Aqua Nymphalis nella stessa città, le mura greche di piazza Bellini a Napoli e sempre lì l’ area archeologica dei Campi Flegrei. E poi tutta Pompei e tutta Ercolano. In quanto a Roma l’ elenco è sterminato: le antiche e nobili Mura Serviane del VI secolo avanti Cristo (annotazione dell’ Associazione nazionale archeologi) «che sembrano dimenticate», il circuito delle Mura Aureliane «interessate da almeno dieci crolli negli ultimi cinque anni», l’ Acquedotto del Mandrione, i Castra Praetoria costruiti tra Nomentana e Tiburtina, la villa Gordiani sulla Prenestina. Intemperie e degrado Tutti beni, sostiene l’ Associazione nazionale archeologi, «non protetti dagli agenti atmosferici» (ovvero piove nelle strutture) oppure oggetto di un degrado che nessuno controlla o monitora. Naturalmente il «caso romano» non può prescindere da almeno tre emergenze: il caso del Colosseo, che sarà oggetto presto di un mega-restauro da 25 milioni di euro. Ma a maggio si è staccato un metro quadrato di intonaco: colpa dello smog, del degrado, proprio della mancanza di manutenzione. Poi c’ è la grandiosa Domus Aurea: a marzo si è aperta una voragine di cento e più metri, il crollo più consistente degli ultimi cinquant’ anni. Come spiega l’ insigne archeologo Andrea Carandini, le pareti della Domus sono friabilissime poiché ormai spogliate dalla struttura muraria vera e propria e quindi ridotte a nulla, al solo nucleo cementizio, in più dalle volte continua a piovere. Infine c’ è l’ intera area del Palatino, altra zona a rischio. Per esempio gli scavi della Domus Tiberiana, meravigliosa area (ricca di meravigliosi criptoportici) ancora riservata agli studiosi ma sottoposta a un rischio altissimo, e per questa ragione chiusa al grande pubblico. Pochi giorni fa proprio Carandini ha parlato di «emergenza perpetua», insistendo sulla necessità di un intervento costante e attento. Già: ma i fondi, le risorse? Le due Torri E siamo ancora a un parzialissimo, quasi sintetico elenco. Perché le preoccupazioni sono tante. Ancora Alessandra Mottola Molfino: «Italia Nostra non ha l’ abitudine di privilegiare questo o quel luogo da salvare. Noi ci battiamo per la salvaguardia dell’ Italia intera. Ma se dovessi rammentare due emergenze spettacolari indicherei sicuramente le Due Torri di Bologna, da tempo oggetto di ansia perché a rischio di stabilità, come ha ricordato giorno fa l’ autorevole sismologo Enzo Boschi. E la stessa cupola di Santa Maria del Fiore, a Firenze, per fortuna costantemente monitorata, resta comunque al centro di autorevoli e motivate preoccupazioni circa la stabilità». Non solo al Su Infine c’ è la Uil Beni culturali, autentica rete di monitoraggio parallela e insieme alternativa a quella del ministero dei Beni culturali. Il segretario Gianfranco Cerasoli, grazie ai contatti costanti con funzionari e dipendenti, è a conoscenza di ciò che molti, nello stesso ministero, ignorano o ricordano con difficoltà. Cerasoli: «Ecco, se penso per esempio ai rischi di Firenze mi viene subito in mente lo sterminato complesso dell’ ex convento di Sant’ Orsola, di proprietà comunale, e da anni in stato di abbandono anche se c’ è un progetto di riqualificazione. A Milano nessuno è tranquillo pensando alla sorte di villa Citterio e delle sue strutture. E lo stesso dico per la Villa Reale di Monza. In quanto al resto dell’ Italia tra i mille possibili esempi citerei palazzo Giustiniani a Bassano Romano, dove si rischia seriamente il crollo del tetto, e lo stesso direi per la Certosa di Calci, a dieci chilometri da Pisa». Due tesori che a tanti italiani suggeriscono poco ma che invece fanno parte di quel Museo Diffuso-Italia descritto da Federico Zeri e, prima ancora, da Cesare Brandi
Paolo Conti