Cesare Fiumi, Corriere della Sera 07/11/2010, 7 novembre 2010
DA RINA FORT ALLA COMMESSA DI TORINO. QUANDO LEI UCCIDE L’ALTRA (E LUI NON SA)
In principio, fu Rina Fort. Mentre il Dopoguerra ancora arranca, arrivano a Milano le donne della strage di via San Gregorio. Prima Caterina Fort, friulana, trent’ anni, il passato come una maledizione - un fidanzato se lo prende la tubercolosi, il marito se lo porta via il manicomio -, il futuro in un impiego: lo trova in via Tenca, diventa commessa e dopo un pò quasi padrona e l’ amante di lui, il proprietario del negozio di tessuti Giuseppe Ricciardi. Poi Franca Pappalardo, 40 anni, casalinga, la moglie di lui, la madre dei suoi tre figli, che è salita dalla Sicilia per riprendersi quel marito che, lei l’ ha saputo, s’ è fatto l’ amica: un’ amica che ora deve sgombrare e che, difatti, sarà licenziata. È il 9 aprile 1952 quando Rina Fort diventa «la belva umana», sulla prima pagina del Corriere. Arriva in casa Ricciardi - lui non c’ è, è via per lavoro - e stermina la sua famiglia: Franca, ma anche Giovanni, 7 anni, Giuseppina, 5 anni, e Antonio di appena dieci mesi. È la ferocia spaventosa di un triangolo che non si chiude: lui non sa nulla delle intenzioni di Rina, non le indovina neppure per un momento ed è la tragedia. Sessant’ anni dopo, alle prese con il delitto di Marina Patriti, 44 anni, casalinga di Bruino, madre di tre figli, scomparsa nel nulla la mattina del 18 febbraio scorso, la storia di Rina Fort torna alla mente come una sorta di memoria antropologica del Male, soltanto da adattare all’ Italia di oggi, ma neppure tanto - salvo i figli in salvo: giusto quell’ assoldare killer al bar, che fa molto fiction tv, dove alla fine, comunque, il colpevole è sempre stanato. Pure in questa storia, una commessa, Maria Teresa Crivellari, che cerca lavoro e lo trova presso il banchetto dell’ ambulante Giacomo Bellorio quando apre dalle sue parti, ad Alpignano. Una commessa che diventa amante, per due anni almeno, fino a quando la moglie di lui, saputa la storia, decide di riprenderselo dopo aver ascoltato la sua risposta al quesito: o lei o me. Lui licenzia l’ amante dalla sua vita, la signora Marina la perderà lì a poco. E di nuovo un uomo ignaro, almeno a suo dire («ero sicuro che me l’ avrebbe fatta pagare, ma non pensavo che si potesse accanire su mia moglie»), di quanto stava per accadere. Ma ci sono storie ancora più atroci, di mogli e mariti morti ammazzati, senza che il suo lui, la sua lei, fossero amanti di alcuno: solo desiderati a loro insaputa, sognati invano per una vita, una vita che però la vittima ignara viveva al posto loro. È l’ 8 novembre 2003 quando, a Firenze, Daniela Cecchin, 46 anni, si presenta a casa di Rossana D’ Aniello, gli stessi suoi anni, suona il campanello e l’ accoltella a morte. Quando la prenderanno, dirà: «Sì, l’ ho uccisa io. No, non la conoscevo, ma non era giusto che fosse così felice». Felice con Paolo, il marito, che l’ assassina aveva conosciuto studente, ai tempi dell’ università, e che trent’ anni dopo aveva rivisto, misurando su di lui e la sua famiglia quello che non era stato, la sua solitudine. E uccidendo a sangue freddo la donna che avrebbe voluto essere. E anche Alex Mucignat, all’ epoca 24 anni, siamo sempre nel 2003, avrebbe voluto essere l’ uomo di lei, della sua collega d’ ufficio Patricia. Sposata con Renato Mascarin, caporeparto di un’ azienda di Azzano Decimo, in Friuli. E anche a lei lui stava simpatico, tanto che era nato un affettuoso rapporto, fatto di continui messaggini telefonici. In un anno ben 7mila sms, ammiccanti, flirtanti, senza mai consumare, però. Eppure capaci di consumare quel giovane amante virtuale e di fargli consumare un delitto. Anche Renato Mascarin morirà accoltellato, vittima di un triangolo inesistente. Ma si può uccidere, far uccidere, anche per un altro tipo d’ amante, forse poco focoso, e però attraente, sobrio, di quelli che ti mantengono senza chiederti niente: il denaro. Laura di Nardo, sessant’ anni, trevigiana, l’ ha fatto per questo, per avere lui tutto per sé. Per garantirsi la compagnia di almeno mezzo milione di euro e con quelli fare la «bella vita». E magari, adesso sì, con qualcuno che ha in mente. E’ accaduto a metà settembre in terra trevigiana, a Conegliano precisamente. E la signora non ha badato a spese: altro che i 1.250 euro a testa che sarebbero finiti in tasca ai due complici di Maria Teresa Crivellari. Lei ne ha offerti 100mila all’ ingaggio e altri 100mila a omicidio compiuto. E il povero Eliseo David, 71 anni - un tempo piccolo imprenditore dell’ occhialeria ma ora in pensione con l’ intenzione di godersi un pò la vita - se n’ è andato, soffocato da un cuscino che i due killer assoldati dalla moglie (un operaio che aveva già fatto lavoretti in casa e un suo amico pregiudicato, impiegato in un albergo) gli hanno premuto in faccia dopo averlo narcotizzato, mentre lei, al piano di sotto, già assaporava in qualche modo la vedovanza, facendo al computer un solitario. Prima di farsi ammaccare, ma solo un pò, e poi legare e tappare la bocca col nastro adesivo, in modo da inscenare il finale feroce di una rapina, ad opera di gentaglia venuta da fuori. Quando la ferocia era tutta lì dentro, da un pezzo: domestica, come ormai ci è familiare, fin dal giorno del proponimento. Peccato non ci fossero effrazioni di alcun tipo a porte o finestre e che il sistema di videosorveglianza non avesse inquadrato alcun bandito. È bastato questo per farle dire: «Sì, l’ ho fatto uccidere. Ero stanca di mio marito». Come agli altri amanti, tali o presunti, di queste storie, le è andata male. Anche scegliendo per compagno il denaro, generoso senza essere affettuoso, il solitario non le è riuscito.
Cesare Fiumi