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 2010  novembre 07 Domenica calendario

ENEL GREEN POWER GENEROSITA’ E DEBITI

Enel Green Power (EGP) fatica in Borsa. Nei primi due giorni, il titolo è andato sotto il prezzo di collocamento, già ridotto in extremis da 1,8 a 1,6 euro. Mani amiche hanno comprato per salvare le quotazioni, ma la dinamica degli affari la dice lunga, tanto più se si considera l’ alto numero di banche chiamate a concorrere al collocamento, e dunque a proteggerlo. Ma il caso EGP va al di là della Borsa e, per dire, del fatto che le azioni siano state acquistate al 77% dai risparmiatori, in gergo dal parco buoi, e solo per il 23% dai fondi. Buon ultimo e certo meno criticabile dei precedenti, il caso EGP s’ inserisce in una storia di politiche pubbliche e interessi aziendali che ha minato la nomea di un settore, quello delle rinnovabili, altrimenti popolare. Prima della Grande Crisi, i gestori di fonti rinnovabili (idroelettrico, ma soprattutto eolico e fotovoltaico) hanno piazzato i propri titoli a multipli esagerati: la spagnola Iberdrola Renovables a un valore d’ impresa (capitale più debito) pari a 46 volte il margine operativo lordo, la francese Edf Energies Nouvelles a 30 volte. L’ Enel non ha approfittato di quella febbre speculativa, che traeva alimento dai forti incentivi pubblici. È scesa in campo quando Spagna, Italia e Francia hanno ridotto aiuti che da noi stavano ripetendo, moltiplicato, lo scandalo del Cip 6. Il titolo EGP è stato così collocato a un valore d’ impresa pari a 8 volte il margine. Che è il livello cui è scesa Iberdrola Re, mentre la consorella francese viaggia sulle 10 volte. L’ Enel ha così ricavato solo 2,6 miliardi. L’ amministratore delegato, Fulvio Conti, parla di generosità verso i soci. In effetti, i dividendi dell’ Enel hanno asciugato la perdita inflitta dai primi collocamenti, anche se hanno reso di più i Btp. In realtà, il prezzo di EGP riflette attese di crescita minori rispetto a quelle francesi. EGP darà corso a poco più della metà dei progetti possibili. Fosse stata collocata in Borsa attraverso un aumento di capitale, avrebbe ottenuto le risorse per fare di più. Ma l’ Enel ha venduto perché deve ridurre il debito. A questo fine, Conti avrebbe potuto tentare mosse assai più consistenti. Per esempio, il collocamento di Enel Distribuzione. Ma avrebbe rischiato di trasformare l’ Enel Spa in una holding con un effetto non positivo sulle quotazioni. I debiti è facile accenderli; difficile è ripagarli, per quanto quelli dell’ Enel, fatti per crescere, siano più sani di quelli della vecchia Telecom, fatti per difendere gli assetti di controllo. La frenata degli investimenti, tuttavia, si spiega anche con il ristagno della domanda di elettricità nei Paesi maturi. L’ Italia, poi, è passata dal rischio black out all’ eccesso di capacità produttiva, destinato a crescere ancora nelle rinnovabili e nel nucleare, settori diversamente protetti. I piani energetici nazionali degli anni Ottanta non erano granché. Ma la successiva politica degli incentivi ai privati ha dato luogo a sprechi ben superiori a quelli della tangentocratica Prima Repubblica. Il governo deve ora disegnare almeno lo scenario energetico nazionale. Avremo un po’ di programmazione? Forza, Romani
Massimo Mucchetti