Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Dunque, ecco qui i dieci presidenti del Consiglio...
• Dieci presidenti del Consiglio? Ma non ne basta uno?
Sono dieci presidenti del Consiglio in pectore, cioè uomini politici che aspirano a diventare presidenti del Consiglio, e che ci riusciranno solo se il loro partito risulterà il più votato. Giuliano Ferrara ha addirittura detto che, fosse per lui, non vorrebbe neanche entrare in Parlamento, «non sono un politico, non ho il cinismo della politica. Ho la passione della politica. Mi piace discutere, far girare le idee, ma non fare il politico. Credo di non esserne neppure capace».
• E allora perché corre per la presidenza del Consiglio?
Intanto corre tranquillo perché sa che non vincerà mai. E poi perché la legge elettorale, il famoso Porcellum, obbliga le liste o le coalizioni a indicare chi sarà, in caso di vittoria, il capo del governo. Ed eccoci perciò con due donne in gara, alle due estreme dello schierament la Santanché, che viene candidata da La Destra di Storace, e Flavia D’Angeli, in corsa per Sinistra critica. Naturalmente nessuno pensa che queste due, o Ferrara, abbiano la minima possibilità. La partita per Palazzo Chigi si gioca tra Berlusconi e Veltroni, e basta. Eppure l’accordo tra i cattolici dell’Udc e i cattolici della Rosa Bianca, siglato l’altro giorno, ha dovuto superare, tra le molte difficoltà (parecchie delle quali soltanto accantonate), anche la questione di chi fosse il candidato premier. La Rosa Bianca aveva deciso di indicare Tabacci, Casini non ha voluto sentire ragione. Casini ha fatto la guerra a Berlusconi per una questione di leadership, figuriamoci se avrebbe messo in discussione il suo primato con una formazione appena nata e di consistenza elettorale ignota.
• Secondo lei, quanto possono prendere questi cattolici di centro?
Tutti i sondaggi dicono che possono raccogliere fino al 7-8 per cento. Ed è possibile, perché gli istituti segnalano la nascita, in una frangia dell’elettorato, di un sentimento “anti-duopolio”. Italiani, cioè, contrari al voto cosiddetto “utile”, quello reclamizzato sia da Berlusconi che da Veltroni e che sarebbe poi quello destinato al PdL o al Pd, uno dei due vincitori. Io stesso ho sentito uno di questi fieri oppositori dichiarare che il suo dubbio era tra Storace o Casini. Un bell’oscillare, lo ammetterà.
• E Mastella?
Su Mastella ci sono notizie incerte. Per il momento corre da solo, ma potrebbe farsi mettere in lista, con qualcuno dei suoi, da Giuseppe Pizza, il democristiano a cui è toccato in eredità il simbolo della Dc, cioè lo scudo crociato. Siccome almeno in Campania il Popolo della Libertà potrebbe apparentarsi anche con la Dc di Pizza, ecco che Mastella avrebbe alla fine la possibilità non di correre per Palazzo Chigi, ma di entrare in Parlamento con i voti del centro-destra. Lui vorrebbe tanto finire al Senato, ma sarà difficile: sia il PdL che il Pd stanno attenti a mandare solo i fedelissimi. La Binetti, per esempio, l’ultracattolica del Pd che una volta si rifiutò di votare la fiducia a Prodi per ragioni - diciamo così - teologiche, andrà alla Camera. E anche Mastella, credo, verrà in ogni caso tenuto lontano da Palazzo Madama [ndr: nel frattempo Fini e Bossi hanno messo il veto a qualunque apparentamento con il PdL e Mastella corre da solo - ndr].
• A proposito di Berlusconi. Ieri ha presentato il programma.
Sì. Le solite cose: abolizione dell’Ici, tassazione sotto al 40 per cento, casa ai giovani, bonus per le famiglie con figli, scuola per tutti, più sicurezza, energia nucleare. Ha fatto pure il gesto dell’ombrello ai giornalisti che avevano scritto di un suo malore mercoledì scorso. Ha aggiunto che vuole rilanciare l’economia, far recuperare valore ai salari, eccetera. Sette punti in undici pagine. Più breve di Veltroni, perciò. Tanto, lungo o breve, nessuno crede né al programma dell’uno né a quello dell’altro... [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 1/3/2008]
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