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 2008  marzo 01 Sabato calendario

DAMBROSIO

DAMBROSIO Francesco Cerignola (Foggia) 27 agosto 1934. Medico. Ginecologo. «Essere ricordato come il decano dei medici abortisti italiani gli secca un po’. Ma solo perché nella sua lunga carriera [...] ha dedicato alla vita molte più energie e conoscenze e passione. Non soltanto ha fatto nascere migliaia di bambini, ma è stato fra i primi in Italia a dedicarsi alla medicina trasfusionale (quanti neonati ha salvato con la trasfusione in utero e la prevenzione della isoimmunizzazione Rh). Si è dedicato alla chemioterapia dei tumori ginecologici, ha condotto studi epidemiologici sulla mortalità perinatale, natale e materna, ha contribuito alla diagnosi precoce del cancro al seno con nuove tecniche ecografiche (quante donne ha salvato individuando tumori che sfuggivano alla mammografia). Ma, è vero, Dambrosio è stato pure il primo medico a eseguire, per così dire, pubblicamente aborti legali: nel 1976, sulle donne di Seveso terrorizzate di mettere al mondo bambini malformati a causa della diossina. Ed è anche stato il fondatore del primo centro per l’applicazione della legge194 alla Mangiagalli di Milano. [...] ”Io vengo da Cerignola, Puglia. Quando ero bambino stavo sempre in mezzo alle donne: cugine, zie, comari. Ascoltavo i loro discorsi, le accompagnavo nelle commissioni, anche in quelle più segrete: per esempio quando alla controra, cioè nel deserto del primo pomeriggio, andavano dalla levatrice per rimediare a un certo problema. L’aborto era nella cultura e nella pratica del matriarcato che governava la società del Sud in quegli anni. stato lì che ho cominciato ad ascoltare le donne, a conoscerle, a capirle. Credo che la mia decisione di fare il ginecologo sia nata allora”. Ricorda il primo aborto che ha eseguito? ”Sì, a una donna di Seveso. Era una signora sui trent’anni, sposata con due figli, e aveva paura di metterne al mondo un altro malformato. Abitava nella zona A, la più inquinata. [...] Noi a Seveso demmo una nuova interpretazione della legge. Allora l’aborto era consentito in rarissimi casi, solo per la salvaguardia della salute della donna. Noi interpretammo la legge considerando anche i rischi per la salute psichica. La decisione era presa da tre medici, uno dei quali psichiatra. [...] Non ero mica solo. Gli aborti di Seveso (una cinquantina, tutti nelle primissime settimane) li facemmo in diversi ginecologi. Comunque l’aspetto più importante dell’esperienza di Seveso non furono gli aborti terapeutici ma l’attuazione del primo consultorio per le donne. In un anno di attività gli aborti furono 50, ma le gravidanze portate a termine più di 800. E fummo i primi, in quella zona, a dare la pillola: era legale dal 1971, ma i medici locali non la prescrivevano”. Per arrivare alla legge 194 ci vollero ancora due anni. ”Sì, e in quei due anni continuammo a vedere gli effetti devastanti degli aborti clandestini: arrivavano in ospedale donne massacrate dai ferri da calza delle mammane o intossicate dall’apiolo, il principio attivo contenuto nel prezzemolo che veniva usato per infusi letali. Ricordo una diciottenne, arrivata in ospedale il giorno prima che entrasse in vigore la 194: era gialla, intossicata. Morì nel reparto di urologia”. Con l’avvio della 194 partì anche il Servizio di applicazione della legge alla Mangiagalli. ”L’ospedale venne preso d’assalto dalle donne. Non avevamo un luogo dove accoglierle, allora ce lo prendemmo, occupando una parte del reparto solventi: 15 letti con annessa sala operatoria [...] Mi è successo molte volte di intuire che la donna avesse dei dubbi, che si sentisse obbligata ad abortire perché il padre era sparito o perché aveva paura delle reazioni in famiglia. Ho sempre ascoltato le loro parole e il loro cuore: ho quattro figli, io, al contrario di Ferrara che non ne ha nemmeno uno. Quando sentivo dubbi, incertezze, le indirizzavo a chi poteva aiutarle a chiarirli [...] La nascita è il principale scopo del nostro lavoro. L’aborto è sempre una sconfitta”» (Valeria Gandus, ”Panorama” 6/3/2008).