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 2008  marzo 01 Sabato calendario

Messina e una paura lunga 100 anni. Corriere della Sera 1 marzo 2008. Sono passati cent’anni, ma gli studi di geologi e geofisici sulle cause di quella tremenda scossa che, il 28 dicembre del 1908, spianò le due città affacciate sullo Stretto, Messina e Reggio Calabria, causando oltre 80 mila morti (il numero esatto non si è mai accertato), ancora continuano e di tanto in tanto producono inaspettate novità

Messina e una paura lunga 100 anni. Corriere della Sera 1 marzo 2008. Sono passati cent’anni, ma gli studi di geologi e geofisici sulle cause di quella tremenda scossa che, il 28 dicembre del 1908, spianò le due città affacciate sullo Stretto, Messina e Reggio Calabria, causando oltre 80 mila morti (il numero esatto non si è mai accertato), ancora continuano e di tanto in tanto producono inaspettate novità. «Negli ultimi anni, sia con le indagini in loco, che permettono di ricostruire le deformazioni del terreno e quelle del fondo marino, sia con le ricerche di sismologia strumentale, effettuate su decine di registrazioni storiche del terremoto, abbiamo potuto individuare e descrivere in dettaglio il comportamento della faglia che scatenò la scossa distruttiva», spiega il geofisico Gianluca Valensise, dirigente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv). «E’ una frattura sepolta alcuni chilometri sotto il fondo marino – aggiunge Valensise – lunga una quarantina di km, che corre parallela alla costa orientale sicula, dallo Stretto, giù fino a S. Teresa ». Fu questa specie di ferita nascosta della Terra che alle 5.21 del mattino del 28 dicembre 1908, scattò improvvisamente come una molla, divaricandosi e facendo sprofondare di circa un metro il fondo marino. «Il movimento si compì in una quindicina di secondi – spiega ancora Valensise – iniziando nel margine sud della faglia e propagandosi verso quello nord, in direzione delle due città affacciate sullo Stretto. Fu questa direzionalità la causa del terribile colpo che si abbattè su Messina e Reggio. Se il verso fosse stato opposto, i due grandi abitati avrebbero sopportato danni minori». Fino a poco tempo fa la maggior parte degli studiosi del terremoto di Messina riteneva che lo spostamento del fondo marino e il conseguente contraccolpo sulle acque dello Stretto fossero la causa del successivo e non meno devastante maremoto che spazzò le coste, moltiplicando vittime e danni. Ma ora è stata avanzata una nuova ipotesi. «Secondo le ultime ricerche effettuate da Renato Funiciello, Andrea Billi e altri geologi e geofisici dell’Università di Roma III, il terremoto avrebbe causato una frana sottomarina di svariati chilometri cubi che si sarebbe staccata immediatamente sotto la costa di Giardini Naxos, sprofondando giù per la scarpata fino a oltre mille metri di profondità. Di qui sarebbe partita l’onda del maremoto», riferisce Valensise, aggiungendo tuttavia che appare più credibile attribuire il maremoto al sommarsi dello spostamento del fondo marino e alla frana. La grande ferita del terremoto di Messina è sempre lì e continua la sua incessante attività. Si carica lentamente di energia a causa dei movimenti delle microplacche esistenti in quell’area e periodicamente la rilascia di colpo. Pare che abbia due meccanismi di scarica. Uno circa ogni secolo, con terremoti di media intensità, come quello da 5,4 Richter che colpì lo Stretto nel 1975. L’altro, circa ogni millennio, come quello del disastroso sisma di Messina da 7,2 Richter del 1908. C’è da augurarsi che prima della nuova scarica il consolidamento sismico degli edifici sia un fatto compiuto. FFM