Tuttolibri 1 marzo 2008, BRUNO GAMBAROTTA, 1 marzo 2008
Guareschi la rivincita dell’Italia che ride. Tuttolibri 1 marzo 2008. I cento anni dalla nascita e i quaranta dalla morte sono un buon motivo per affrontare un’Assenza Imbarazzante, quella di Giovannino Guareschi
Guareschi la rivincita dell’Italia che ride. Tuttolibri 1 marzo 2008. I cento anni dalla nascita e i quaranta dalla morte sono un buon motivo per affrontare un’Assenza Imbarazzante, quella di Giovannino Guareschi. Assenza dalle storie letterarie, dalle antologie, dalle rievocazioni. Chi scrive ricorda l’imbarazzo con il quale le cronache culturali riportavano, anno dopo anno, la notizia che Giovannino era l’autore italiano più letto nel mondo. Ci aiuta ora riflettere sul perché il Giovannino Guareschi di Guido Conti in uscita da Rizzoli, (pp. 587, e 16,50). Conti è un biografo militante, fin dal sottotitolo: «biografia di uno scrittore», senza aggettivi. Poderosa, documentata (Conti ha letto persino i componimenti delle elementari e tutti gli inediti), onesta fino allo scrupolo (non sorvola ad esempio sull’atroce rubrica antiebraica «Il Samuelino», inaugurata sul Bertoldo del 23 agosto 1938, in anticipo di 7 giorni sull’entrata in vigore delle leggi razziali). «L’esistenza tribolata e faticosa» di Guareschi in questo libro che ha la dote, non ultima, di essere leggibilissimo, è scandita in otto lunghi capitoli che corrispondono ad altrettante fasi della sua vita. Nasce a Fontanelle, nella Bassa parmense, il Primo maggio del 1908, nella sede della Cooperativa Socialista, dove alloggiano i suoi genitori. Nel 1922 Giovannino è ospite del convitto Maria Luigia a Parma, dove è istitutore Cesare Zavattini, che intuisce le sue doti di umorista e disegnatore, gli procura i primi lavori, prima come collaboratore alla Gazzetta di Parma e poi dal ’36 a Milano come caporedattore del neonato Bertoldo, presso Rizzoli. Affiora fin dalle prime prove l’antiintellettualismo di Giovannino. Scrive nelle Osservazioni di uno qualunque: «Io non racconto mai cose originali: io sono il modesto e pignolissimo cronista della vita piccola del Mondo piccolo e prendo nota di tutte le minutaglie più banali che succedono in famiglia». Per Giovannino sono sette anni, dal ’36 al ’43, caratterizzati da un’attività frenetica e prodigiosa; collabora anche a La Stampa dal 9 agosto 1938 al 14 ottobre 1942, con quasi 440 strip di tre vignette ciascuna. Una parola chiave della poetica di Guareschi è «destino» ed un’imprevista svolta del destino gli cambia la vita. E’ la notte del 14 ottobre 1942. Alla notizia che suo fratello Pino è disperso in Russia, si ubriaca di grappa e tornando a casa nella notte urla il suo disaccordo con il regime, con Mussolini, con la guerra. Il giorno dopo è arrestato; gli amici della redazione gli evitano la prigione ma non il secondo richiamo alle armi. Il 9 settembre del ’43 i tedeschi lo arrestano nella caserma di Alessandria e lo deportano in Germania. I due anni di lager da internato militare lo trasformano; quello che ritorna, dimagrito di 35 chili, è un uomo offeso dallo spettacolo dei soliti italiani lesti a confondere le carte, a inalberare bandiere, ad approfittare della confusione. Chiuso il Bertoldo alla fine di agosto del ’43, nel dopoguerra nasce un nuovo settimanale, diretto da Giovannino, il Candido; il primo numero vede la luce il 15 dicembre 1945. Un anno dopo, il 28 dicembre 1946, sotto la rubrica Mondo piccolo, fa la sua comparsa il primo episodio di don Camillo. Nell’arco di vent’anni i racconti con il prete manesco, il suo antagonista Peppone e il Crocifisso che parla, saranno 346. Non un romanzo ma un’epopea che, secondo Guido Conti, si riallaccia ai racconti quattrocenteschi dei Motti e facezie del Piovano Arlotto. Per il resto, Candido, secondo le parole di Conti, è «un giornale chiaramente di destra, apartitico, borghese, filoitaliano, reazionario ma contro le aberrazioni rivoluzionarie». Nella sua solitaria guerra, Guareschi se la prende con De Gasperi e pubblica la lettera con cui lo statista, quando era in Vaticano, avrebbe chiesto agli alleati di bombardare Roma. Da qui il processo per diffamazione, allestito in fretta e furia, la condanna a un anno che si somma ai nove mesi con la condizionale per una precedente sentenza. Giovannino rifiuta di fare appello e il 26 maggio del ’54 va a farsi 14 mesi di detenzione nel carcere di Parma, più sei mesi di libertà vigilata. E’ l’inizio del declino: «La penna di Giovannino s’intinge sempre più nella bile nera non tanto della rabbia quanto della disperazione». Il 10 novembre del ’57 lascia la direzione di Candido che Rizzoli chiuderà nel ’61, con un sospiro di sollievo. La morte per infarto coglie Guareschi a Cervia il 22 luglio 1968. L’Unità, che alla morte di Stalin aveva titolato «Si è spento il faro dell’umanità», dà la notizia con la frase: «E’ morto uno scrittore mai nato». A noi restano da comprendere i motivi di un ostracismo che perdura. Giovannino di sicuro era un uomo che «non sapeva stare al mondo». Al momento di entrare nel carcere di San Francesco a Parma, scrisse di sé: «Io non sono stato – come poteva sembrare – un indipendente bensì un anarchico». Esiste nella cultura e nel costume del nostro paese una tradizione minoritaria di anarchici conservatori, la cui azione è innervata da un forte risentimento morale, che trovano un acre piacere nell’andare contro corrente. Una linea che inizia con Giuseppe Prezzolini, passa per Mino Maccari e Leo Longanesi, sfiora Indro Montanelli e arriva fino a Vittorio Feltri e Giuliano Ferrara. Giovannino ha in più la regressione nel mito piccolo borghese della famiglia. Tornando al Guareschi autore di don Camillo, la biografia di Guido Conti pretende un ripensamento critico. Geno Pampaloni parlò di una «scrittura elementare e senza pretese (...) nella semplificazione paesana e contadina delle situazioni». Sembra un giudizio troppo riduttivo. A meno che non sia vera un’ipotesi avanzata dallo stesso Conti, cioè che ci troviamo di fronte a uno di quei rari casi in cui i personaggi sono così forti da sovrastare il loro creatore che finisce per scomparire sullo sfondo. BRUNO GAMBAROTTA