Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
A quanto pare voteremo il prossimo 10 marzo, domenica 10 e lunedì 11 marzo.
• “A quanto pare”?
È praticamente certo per Lombardia, Lazio e Molise. Il Quirinale giudica la data del 10 marzo «auspicabile», ma la convocazione dei comizi dipende dai presidenti delle Regioni. Dunque, saranno Formigoni, Polverini e Iorio ad adeguarsi alle indicazioni del Colle. È molto probabile che in quello stesso giorno si svolgano le politiche, ma qui Napolitano – a cui compete lo scioglimento delle Camere – scrive nel comunicato di ieri sera che prima di procedere è «ineludibile» l’approvazione della legge di stabilità e della legge di bilancio, mentre è «auspicabile» una nuova legge elettorale. Prevedo la possibilità di qualche altra scintilla tra il capo dello Stato e il centro-destra: se la riforma della legge elettorale tardasse ad arrivare, Napolitano potrebbe non far svolgere in contemporanea tutte le consultazioni. Cioè il famoso election-day, che Berlusconi-Alfano e tutti gli altri vogliono assolutamente, e che ieri il presidente ha fatto intravedere, potrebbe ancora non esserci. Dopo l’ingloriosa caduta, lo scorso 27 settembre, della Polverini e della sua giunta, travolti dallo scandalo Fiorito, pareva ovvio che il Lazio andasse al voto il più presto possibile. Ma inaspettatamente la Polverini cominciò a prendere tempo, sostenendo che il termine di 90 giorni prescritto dalla legge non si riferiva alle elezioni, ma alla comunicazione del giorno in cui si sarebbe votato.
• Cioè, la Polverini sosteneva che aveva solo l’obbligo di scegliere la data delle elezioni entro 90 giorni? E che magari, scegliendo di votare dopo tre mesi al novantesimo giorno, la Regione sarebbe rimasta senza guida per 180 giorni, sei mesi?
Proprio così. Il centro-sinistra era furibondo e a un certo punto il Movimento Difesa del Cittadino fece ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale chiedendo ai giudici di imporre alla commissaria-presidente di far votare il Lazio entro Natale.
• Perché il centro-destra voleva che si facessero tutte le elezioni in un sol giono?
Per il timore che la sconfitta sicura in Lombardia e nel Lazio non avesse un effetto trascinamento, un mese o due dopo, sulle politiche, trasformando la sicura sconfitta anche in quella consultazione in una disfatta o in una rotta. Votando tutto contemporaneamente, il centro-destra sapeva o credeva di sapere che avrebbe contenuto i danni. Alfano tirò fuori la storia che votare in due giornate diverse sarebbe costato al Paese cento milioni. E cento milioni in questo momento…
• Perché lo dice con l’aria di pensare che questa era solo una scusa?
L’anno scorso, dovendosi decidere se accorpare i referendum alle amministrative, il centro-destra e specialmente la Lega si opposero con tutte le loro forze, indifferenti al fatto che votare in due giorni diversi (come poi si fece) sarebbe costato sui 400 milioni. Allora c’era il problema di non far raggiungere il quorum ai quattro referendum, che la simultaneità con le amministrative avrebbe facilitato. Come sappiamo, il quorum fu raggiunto lo stesso e Berlusconi si prese la seconda bastonata di fila. Oggi, per ragioni tutte evidentemente di bottega, il Cav e i suoi sono su posizioni diametralmente opposte. È anche questa continua oscillazione di posizione e di pensiero – prova che non si hanno in realtà né posizioni né pensiero – ad aver contribuito al crollo di simpatia per la politica dell’attuale centro-destra.
• Quindi, il Movimento Difesa del Cittadino presentò questo ricorso al Tar…
E lo vinse. Al punto che il ministero dell’Interno dispose, subito dopo, che nelle tre regioni si votasse il 10 e l’11 febbraio. Ma la Polverini ricorse a sua volta, contro la sentenza del Tar, al Consiglio di Stato e ieri il Consiglio di Stato sospese l’esecutività della sentenza comunicando che si sarebbe dovuta aspettare la sua riunione del 27 novembre prossimo prima di procedere. Ritorno quindi alla casella di partenza, mentre il centro-destra minacciava di far cadere il governo, in modo da costringere Napolitano a sciogliere le Camere e far votare tutti lo stesso giorno. Per fronteggiare questo ennesimo garbuglio italiano, Napolitano ha ricevuto ieri i presidenti della Camera e del Senato e deciso che si poteva mediare tra le varie esigenze puntando a un election day – cioè si vota per tutto in un’unica tornata – da «auspicare» per il 10 marzo. «Una costruttiva conclusone della legislatura sconsiglia un affannoso succedersi di prove elettorali». «È però indubbia, per valutazioni d’interesse generale, l’esigenza di un contestuale svolgimento delle elezioni nelle tre suddette regioni (cioè Lombardia, Lazio e Molise, un quarto di tutto l’elettorato italiano – ndr
). Si è a tale proposito ritenuta appropriata la data del 10 marzo 2013». È «ineludibile» l’approvazione della legge di stabilità e della legge di bilancio, e «altamente auspicabile la conclusione del confronto in atto da molti mesi per una riforma della legge elettorale». A proposito delle elezioni per il rinnovo delle Camere «si ricorda che il capo dello Stato aveva rilevato, il 3 novembre scorso, la carenza, fino a quel momento, di condizioni oggettive e di “motivazioni plausibili” per un’anticipazione sia pur lieve della convocazione delle elezioni politiche. Si attende dunque il verificarsi delle condizioni opportune per la decisione che la Costituzione riserva al capo dello Stato».
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 17 dicembre 2012]
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