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 2012  novembre 17 Sabato calendario

I 50 anni di Cicciobello papà dei bamboccioni - Invecchiato senza essere cresciuto. Cicciobello compie cin­quant’anni e non c’è (ex) bim­ba che ci ab­bia giocato a non ricordar­lo così, come in fondo è ri­masto: gote ro­see, bocca spalancata quel tanto che basta ad accogliere il ciuccio e ciuf­fi biondi a far da capelli

I 50 anni di Cicciobello papà dei bamboccioni - Invecchiato senza essere cresciuto. Cicciobello compie cin­quant’anni e non c’è (ex) bim­ba che ci ab­bia giocato a non ricordar­lo così, come in fondo è ri­masto: gote ro­see, bocca spalancata quel tanto che basta ad accogliere il ciuccio e ciuf­fi biondi a far da capelli. E di straordina­rio nel com­pleanno di un bambolotto, di questo bambolotto, non c’è solo la ca­pacità imprenditoriale, l’inge­gno di Gervasio Chiari che nel 1962 lo ha inventato, né l’abili­tà di strateghi del marketing. Un successo lungo mezzo se­colo è molto ma l’impresa vera è un’altra: Cicciobello, forse suo malgrado, è diventato ger­go, sintesi del genere d’uomo che uomo vero non è. Il ma­schio che non s’arrende all’età, alle responsabilità. Che sia am­mogliato o eterno single (ossia il corrispettivo della zitella zep­pa di noiose e complicate fisse, che se la cava meglio solo for­malmente), il «Cicciobello» è la via di mezzo tra il mammone e l’individuo tendenzialmente inutile alla quotidianità pratica di una famiglia. Quello che oggi viene inquadrato come «bam­boccione », in sintesi, seppur con le dovute distinzioni, fino a una manciata di anni fa prende­va il nome della pupazzo pro­dotto dalla Gig Giochi Preziosi. Il visetto paffuto soffia su cin­quanta candeline pavoneg­giandosi d’essere invecchiato senza essere cresciuto e intere generazioni di donne si trova­no a far di conto: perché, ahilo­ro, dopo aver tenuto fra le brac­cia per anni Cicciobello, sono cadute tra le braccia di un «Cic­ciobello ». Dell’adulto al testo­sterone invecchiato senza esse­re cresciuto. Sarà la magia del tempo che passa, sarà che storia e politica entrano nelle case degli italiani più di quanto non sembri, ma accade di fatto che generazioni di genitori segnino generazio­ni d’adulti, quasi allo stesso mo­do e con buona pace dell’unici­tà individuale. È così che, mi­scelando un pizzico di luoghi comuni all’analisi, ti pare di ve­derla la schiera di «Cicciobel­li », capaci sì e no di cambiar la gomma dell’auto bucata, capa­ci sì e non di far spalle grandi a tu per tu con l’educazione dei piccoli di casa. E ti pare di veder­le, quelle bambine ormai qua­rantenni. Loro e le loro manine a maneggiare il bambolotto in attesa che sia il momento che quei vagiti si facciano veri, pro­fumino di latte vero. Loro e il lo­ro sogno del principe azzurro, quello che negli anni si trasfor­ma nel desiderio del compa­gno, di colui che ti prende per mano perché la vita sia dolce­mente semplice. Le stesse che negli anni gli standard son sta­te costrette ad abbassarli, la­sciandosi alle spalle il cavallo bianco e tutto l’annesso scolori­to celeste, come l’immagine del macho vero ma colto, e si son prese in casa quella che for­se era la figura più consueta. La stessa che stringevano da picci­ne. Con la controindicazione che il capriccio del pupo in car­ne e ossa alto uno e ottanta urta piuttosto che intenerire. Che badare al lui influenzato sa più di stra­zio che di gio­co. Che di pu­pi ( veri) maga­ri ne son arri­vati anche un paio e tu hai quarant’anni e cresci loro e pure il loro pa­dre. E una non può non chie­dersi se non sia tutta colpa di quell’infan­zia lì, di quell’ educazione lì, di quel Cicciobel­lo lì. Ciò nonostante, siamo cer­ti, nessuna di quelle bambine vissute negherà un brindisi e un augurio al pupazzo del cuo­re. Magari.