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 2012  novembre 17 Sabato calendario

«Sono laico, ateo, agnostico, rompiscatole e vegano come la mia cantina». Sebastiano Cossia Castiglioni, il patron di Querciabella, a Greve in Chianti

«Sono laico, ateo, agnostico, rompiscatole e vegano come la mia cantina». Sebastiano Cossia Castiglioni, il patron di Querciabella, a Greve in Chianti. Dietro il suo perenne abito nero con gilet si nasconde una doppia anima: uomo d’affari e ultrà animalista. Custode di affari segreti e seguace dell’etica verde. Con la sua società si occupa di opere d’arte dai 15 milioni di euro in su: chiude con una stretta di mano trattative riservate tra collezionisti i cui nomi non finiranno mai sui giornali. E allo stesso tempo si occupa di arrembaggi alle baleniere: è l’unico italiano nel board di Sea Shepherd, la flotta del capitano Paul Watson, sostenuta anche dagli attori Sean Penn e Pierce Brosnan, partita il 5 novembre verso il Pacifico «per ridurre in bancarotta i pescherecci giapponesi». La sua è la prima azienda del vino italiano a dichiararsi vegana. L’abbiamo incontrato a Milano, tra piatti di amaranto, seitan, cacio e pepe, lenticchie alla vaniglia: un intero menù vegano ideato per lui da Carlo Cracco e servito dallo chef in persona al tavolo nascosto in cucina. Una cantina vegana: è una stravaganza new age? «No, è l’ultima frontiera della geo-etica», risponde Castiglioni, 46 anni, milanese, trasferitosi a Lugano con la moglie americana e i due figli di 10 e 13 anni. «Gli aspetti esoterici non mi interessano: ho un approccio scientifico. Mi baso sugli studi dell’inglese Peter Barlow e sulla messa al bando di tutto ciò che viene dal mondo animale, come il corno bovino che si usa nella biodinamica per fertilizzare». Una via «cruelty-free», la definisce. «Non uso la biodinamica perché mi attrae il misticismo, ma perché le uve e il vino sono migliori, come dimostrano molte tra le migliori cantine del mondo, e perché rispetta la mia etica. L’agricoltura convenzionale, con il suo carico di chimica, è pericolosa per il pianeta, per gli uomini e per gli animali». I vini vegani di Querciabella, negli ultimi anni, hanno raccolto premi e alti punteggi nelle guide. Come il Batàr, definito il «sogno di un bianco» dal wine writer Hugh Johnson. Uno Chardonnay e Pinot blanc, «forse il più ambizioso del pianeta», secondo la master of wine Jancis Robinson del Financial Times. Il vino-bandiera è il Camartina, uno dei primi Supertuscan, blend di Sangiovese e Cabernet Sauvignon («irresistibile sexy wine», secondo l’imperatore della critica Robert Parker); il Palafreno, un Merlot in purezza; il Querciabella, un Chianti classico docg. L’ultimo arrivato è il Mongrana, dalla tenuta in Maremma. Con la sua voce bassa, Castiglioni spiega le idee a cui si ispira: soprattutto quelle del filosofo Peter Singer («Tutti noi non siamo responsabili solo di quello che facciamo, ma anche di quello che avremmo potuto impedire o che abbiamo deciso di non fare»). E illustra come le mette in pratica: lavorazioni manuali in vigna e preparazioni biodinamiche con piante (32) coltivate in azienda. Un metodo che costa fino a 8 volte di più della norma. E i solfiti? «C’è una campagna proibizionista assurda sulla solforosa, va usata il meno possibile, tutto qui». Nella precedente vita milanese è stato un designer «fuggito dall’università». Non apprezza le scuole steineriane (Rudolf Steiner è il padre fondatore della biodinamica): i figli studiano a casa, con i genitori e qualche insegnante. Si occupa di «evitare alle banche di essere imbrogliate con l’arte. Mi è capitato di vedere scappare i truffatori dalla sala riunioni di una banca, mentre stavo svelando i loro trucchi». La passione dell’arte gli è stata trasmessa da papà Giuseppe, morto nel 2003. «Quando ero bambino mi portava in giro per mostre in Europa. A 12 anni mi portò anche a visitare le vigne di Borgogna e Bordeaux. Devi sapere, diceva. Il mio rapporto con il vino cominciò così». Il padre, imprenditore, fece fortuna con i tubi d’acciaio senza saldature per il petrolio, in Messico. Nel 1974 comprò Querciabella, «dalla fine degli anni Ottanta la trasformai in biologica, dal 2000 in biodinamica», racconta il patron, ricordando l’incoraggiamento di Luigi Veronelli che nel 2001 scrisse, sul Corriere, che Batàr e Camartina, erano vini da strepito e Sebastiano «"nel cor mi sta per il rigore grafico e la conoscenza di Johann Sebastian Bach"». L’azienda è cresciuta: da 1 a 115 ettari. Fino a 450 mila bottiglie l’anno, per la maggior parte (85%) esportate, in 50 Paesi, dal Canada all’Australia. Il prossimo progetto sono i cru di Sangiovese in purezza («la dimostrazione che non hanno senso le accuse di usare troppo i vitigni internazionali») prima a Greve («sarà pronto per il prossimo Vinitaly»), poi da Castellina, Gaiole e le altre zone del Chianti. Quando saranno in bottiglia, tra i primi ad averli sarà Stella McCartney, la stilista vegana sua sodale, che il mese scorso ha presentato a Milano il libro di ricette senza carne proprio con le bottiglie di Querciabella.