Guido Olimpio, Corriere della Sera 17/11/2012, 17 novembre 2012
I gruppi guerriglieri mediorientali, quando non usano gli attentatori suicidi, hanno solo un modo per esercitare una pressione su Israele: il lancio di missili
I gruppi guerriglieri mediorientali, quando non usano gli attentatori suicidi, hanno solo un modo per esercitare una pressione su Israele: il lancio di missili. Hamas, come l’Hezbollah, si è preparata da anni a questo tipo di guerra. E in modo meticoloso, per avere sempre un ordigno da sparare oltre il muro di Gaza. Cada dove cada, tanto l’effetto destabilizzante è assicurato. Se a Tel Aviv aprono i rifugi e a Gerusalemme suonano le sirene è la prova che quell’arma poco precisa ha raggiunto il suo scopo. Un dato è significativo: durante il conflitto 2008-2009 hanno lanciato 600 «pezzi» in 22 giorni, in questa nuova crisi 550 in appena tre giorni. I palestinesi si sono dotati all’inizio della seconda intifada di quelli che Yasser Arafat definiva i «petardi», ossia i Kassam, tubi costruiti in officine locali. Dopo oltre dieci anni i gruppi di fuoco hanno migliorato mettendo in campo mortai, razzi (20-40 km di raggio) e infine le ultime frecce: il Fajr 5, con circa 90 chilogrammi, e l’M75, entrambi in grado di raggiungere Tel Aviv (ad una settantina di chilometri) o i sobborghi della città santa. Gli 007 israeliani hanno segnalato a partire dal 2009 che Teheran aveva fornito i Fajr 5 seguendo la «rotta del deserto». Via nave verso scali africani, quindi in Sudan, poi attraverso il Sinai. L’ultimo tratto, breve, all’interno dei tunnel scavati sotto il confine Gaza-Rafah. Un traffico che ha coinvolto pasdaran e contrabbandieri, uniti da interessi diversi. Per l’intelligence è probabile che gli iraniani siano stati costretti a smontarli per poterli trasferire lungo le anguste gallerie, però non sarebbe una sorpresa se i «minatori» palestinesi avessero trovato il modo di aggirare l’ostacolo. Nel tentativo di fermare l’arrivo dei Fajr, Israele le ha provate tutte. Compresi tre raid aerei, a distanza di tempo, in Sudan. L’ultimo alla fine di ottobre, durante il quale sono stati distrutti dei container nella fabbrica militare di Yarmouk. Secondo alcune indiscrezioni era una spedizione di missili destinati proprio ad Hamas. Altri sono stati invece seguiti dal momento che sono partiti dall’Iran fino a Gaza. La ricognizione aerea, con l’aiuto di spie sul terreno, ha «mappato» depositi e postazioni segrete. Non appena sono esplose le ostilità i caccia hanno neutralizzato i bersagli mettendo fuori uso gran parte dei Fajr. In mano ai palestinesi, però, ne restano ancora. E li usano con parsimonia per continuare ad avere un’arma «lunga» che possa tenere in scacco l’area di Tel Aviv. La tattica è già stata impiegata in passato. Mortai, i vecchi Kassam e la katyuscia sono usate nella zona a ridosso di Gaza. Più mobili, facili da nascondere, sono «sistemi» impossibili da neutralizzare completamente. Per questo Israele potrebbe tentare azioni terrestri limitate per spingerli più indietro riducendone così il raggio. Una risposta comunque sempre temporanea se non accompagnata da una soluzione politica.