Stefano Folli, Il Sole 24 Ore 17/11/2012, 17 novembre 2012
LA SCOMMESSA DELLA LISTA MONTI
Oggi a Roma Andrea Riccardi, Luca di Montezemolo, Andrea Olivero e Raffaele Bonanni metteranno il loro tassello nel mosaico di un’ambiziosa ricostruzione politica. La cosiddetta area moderata non è mai stata così disorientata e bisognosa di un leader. Tanto più ora che si delinea il 10 marzo come giorno delle elezioni: vale a dire che mancano meno di quattro mesi (ma resta aperto il problema della riforma elettorale). Dunque il mosaico aspetta di essere ricomposto e il tempo è breve. Di certo il fortilizio rappresentato dall’Udc di Casini, sopravvissuto con tenacia agli anni del berlusconismo imperante, non è riuscito o non ha voluto porsi come fattore di aggregazione dinamica di questo mondo variegato dalle radici laico-cattoliche. Ora siamo all’anno zero e la confusione è ancora notevole. Quando si parla di "area moderata" s’intende grosso modo quella che in Europa si riconosce nei contorni del Partito Popolare. C’è qualcuno in Italia in grado di federare tutte le forze, le associazioni e le sigle che fanno riferimento anche solo ideale all’area del Ppe? E di farlo prima del 10 marzo? Un anno di esperienza governativa indica che sulla carta l’unica figura capace di incarnare il ruolo di tessitore e federatore è il premier Mario Monti. Che poi questo avvenga nella realtà è tutto da dimostrare. È vero peraltro che oggi lo squilibrio politico è evidente proprio perché il mondo moderato è privo di una forte rappresentanza: quel mondo incarnato per decenni dalla Dc e dai partiti laici e al quale dal ’94 cercò di dare voce il primo Berlusconi. Viceversa il Berlusconi odierno, ormai fuori dal palcoscenico principale, tradisce la sua stessa storia pronunciandosi contro l’Europa e contro il premier che il Pdl sostiene con il voto in Parlamento. Il quesito è comunque se Monti si metterà alla testa di questa potenziale federazione moderata ovvero se lascerà che la coalizione dei volonterosi lo «indichi» come il continuatore di se stesso alla guida di un esecutivo ovviamente fondato su un patto politico. La differenza non è trascurabile. Sappiamo quali sono i punti di forza di Monti: essere l’interlocutore privilegiato dei leader occidentali; rappresentare la credibilità italiana nel mondo; impersonare un’idea di serietà delle istituzioni e della politica. Se interpellati, gli italiani si lamentano delle tasse, ma continuano a vedere nel premier una garanzia. Basta questo per dare sostanza a una prospettiva politica, nel momento in cui ci si presenta al corpo elettorale? Potrebbe non bastare e spetta ai sostenitori di Monti fugare le perplessità. In primo luogo il "partito di Monti" non potrà essere il vaso dove si raccolgono i segmenti alla deriva di un sistema semi-fallito, i reduci della disastrosa Seconda Repubblica. Il rischio esiste proprio perché l’area moderata è frantumata. Monti e i suoi dovranno essere molto attenti: guai a disperdere il senso di una novità che dovrà riflettersi anche nelle persone, oltre che nello stile di governo. Sotto tale profilo sarebbe più logico che Monti tenesse saldi nelle sue mani i fili dell’operazione, pur sapendo che le insidie saranno rilevanti. Allo stesso modo lo schieramento pro-Monti dovrà assomigliare a un «rassemblement» di tipo francese piuttosto che a una sommatoria di partiti vecchi e nuovi. La domanda è: chi sarà il regista operativo del progetto? Chi ad esempio deciderà sulle candidature? Altro punto. La maggioranza che sostiene il premier è trasversale. Uno schieramento pro-Monti in chiave europea non potrà disperdere questa caratteristica, specie se prenderà la forma di un quasi-partito. Dovrà riunire personalità provenienti dal centro e dal centrodestra, ma anche dal centrosinistra. Quanto più Monti riuscirà ad apparire un leader "nazionale" e a scompaginare gli attuali assetti, tanto più il suo gruppo condizionerà il Parlamento. Anche senza la maggioranza relativa.