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 2012  novembre 17 Sabato calendario

LA CRISI

dell’Eurozona non fa che aggravarsi. E non ci sono segni di miglioramento, al di là delle dichiarazioni ufficiali. Prova che le politiche con cui i Governi europei stanno affrontandola sono sbagliate.
Si punta tutto sul risanamento fiscale. Il pareggio di bilancio è obiettivo imprescindibile. Eppure, lo stock di debito pubblico rispetto al Pil, invece di ridursi, continua a crescere ovunque. Perfino in Italia, nonostante un avanzo primario consistente: un’assurdità, a pensarci bene. È la “spirale austerità-recessione”: si stabiliscono obiettivi per il debito; ma la recessione è peggiore del previsto; per cui si mancano gli obiettivi; quindi si aumentano le tasse, aggravando la recessione; e si ricomincia da capo. Secondo l’Economist, sarà la Francia la prossima a esserne colpita.
Eppure, governi e istituzioni europee insistono nel dare priorità all’austerità. Per loro, dunque, la crisi è di liquidità: una difficoltà temporanea degli Stati in crisi a finanziarsi
e rinnovare il debito pubblico in scadenza, a tassi non puntivi. Per questo ci sono la Bce, lo Esm, la Commissione con ogni sorta di programmi per finanziare gli Stati in difficoltà. A condizione naturalmente che prima si vincolino all’austerità fiscale.
Invece, è una crisi di solvibilità. Non vuol dire che i paesi in crisi, come l’Italia, siano a rischio di default più o meno immediato; ma che, date le prospettive di crescita, il livello di produttività, e il costo per mantenere un Stato bulimico, il debito pubblico non è più sostenibile. Si può morire, dopo una lunghissima agonia. Penso sia il caso italiano.
Si guarda allo spread come indicatore infallibile dello stato di crisi, ma è solo il segnale delle aspettative a breve sullo squilibrio tra domanda e offerta di Btp. Lo spread si è ridotto due volte quest’anno; ma per altrettanti interventi della Bce. Un preoccupante, quanto ignorato, indicatore di insolvenza sono i flussi di capitali privati tra i paesi dell’eurozona: i capitali esteri fuggono dai paesi in crisi (150 miliardi solo di titoli di stato italiani liquidati dagli stranieri
in un anno); le banche si finanziano sempre più sul mercato interno e presso la Bce; e le banche centrali nazionali hanno ormai surrogato il mercato privato dei capitali (vedi gli squilibri nel sistema Target).
Il controllo della spesa pubblica, è indispensabile. Ma è solo uno degli strumenti per risolvere la crisi, non il fine dell’azione di governo. I vincoli rigidi di bilancio sono imposti dalla Germania, a ragione, che non si fida più dopo aver visto che con l’euro i risparmi tedeschi andavano a finanziare la spesa pubblica improduttiva degli Stati in crisi o le loro bolle immobiliari. Ma dovrebbero essere uno strumento di negoziazione, non un obiettivo politico. Ci vuole una netta cesura con le politiche attuali, per rendere il debito sostenibile con la crescita. Non con la chimera delle grandi infrastrutture e la politica industriale, che piacciono tanto da noi, ma non hanno mai prodotto risultati. Due le cose da fare. Sostenere i tagli di capacità nei tanti settori e aziende in declino (invece di cercare di tenerle in vita) e finanziare con un nuovo sistema di sicurezza sociale lo spostamento del lavoro verso settori a più elevata produttività o crescita (sperando che i sindacati lo capiscano). E, invece di parlare di patrimoniali, tagliare in modo sostanziale le imposte su capitale e lavoro (finanziandole anche con l’eliminazione di ogni sussidio): ci siamo dimenticati che non si investe senza aspettative di maggiori guadagni. Una specie di Piano Marshall per la riconversione del sistema produttivo italiano.
Il deficit pubblico esploderebbe. Ma se io fossi Monti, userei la mia credibilità per proporlo ai tedeschi, in cambio di un programma concordato che dia loro il potere di verificare che il deficit finanzi effettivamente la ristrutturazione dell’Italia e non il rinvio di tagli e la lotta agli sprechi. Se commissariamento ha da essere, che lo sia per una buona ragione.
Quanto allo spread, pensate che di fronte a un aumento del deficit per l’abolizione di Irap (e sussidi), taglio delle aliquote per tutti, e aumento della spesa pubblica per facilitare la chiusura di impianti improduttivi e ristrutturazioni di aziende decotte, gli investitori correrebbero a vendere Btp? Sono convinto del contrario. Ma io non sono Monti.