Silvia Nani, Corriere della Sera 17/11/2012, 17 novembre 2012
P uò un oggetto trascendere dalla funzionalità? Qual è il confine tra il piacere estetico di una forma bella, e quello, intangibile, dato dallo scopo cui può contribuire? Una lampada, una sedia, una coppa, un tappeto
P uò un oggetto trascendere dalla funzionalità? Qual è il confine tra il piacere estetico di una forma bella, e quello, intangibile, dato dallo scopo cui può contribuire? Una lampada, una sedia, una coppa, un tappeto. Pezzi di design, unici o di serie non importa, diventano strumenti per fare del bene: una tendenza che questa volta indica non uno stile di vita ma una novità nella motivazione d’acquisto. E soprattutto apre la possibilità di uno sguardo diverso da parte di chi il design lo pensa e lo produce. Precorritore fu il fashion, mentre il mondo dell’arredo dialogava con gli enti benefici tramite donazioni dirette. Racconta Michele Alessi, ad del marchio di famiglia: «Già mio nonno, il fondatore, faceva beneficenza sul territorio. E noi da 10 anni affiancavamo l’AiBi con una somma devoluta a fine anno raccontando l’operazione con un prodotto-simbolo». Quest’anno l’idea di legare una charity alla vendita dei propri oggetti: «Un euro per ciascuno, senza distinzione, e in tutto il mondo. E la scelta di un’azione mirata: la realizzazione di una casa-famiglia a Kinshasa», spiega Alessi. In più, la creazione di marchio e logo dedicati, «Alessi for Children»: «Per dire che questo progetto ora è strategia aziendale. Così si può garantire la continuità e incrementare la somma devoluta: contiamo di quadruplicarla», precisa la figlia Nicoletta che in azienda è manager per la responsabilità sociale. Mostre mercato e aste rimangono le raccolte fondi più diffuse. Promosse finora dalle onlus, oggi diventano ambito dei marchi di design che se ne fanno carico in prima persona. Come Valcucine, che organizzerà nel suo negozio milanese una vendita all’incanto di arredi per i terremotati dell’Emilia Romagna, con un produttore modenese di biciclette: «Alleanza nella filosofia delle nostre cucine sostenibili che uniscono design e "lentezza". Alla fine ciclisti torneranno a Modena con l’assegno della cifra in una staffetta simbolica», spiega Erika Sartori, responsabile per Valcucine del progetto. Mobili fuori produzione, prototipi, schizzi di designer: «Sarà un modo per fare del bene e per accaparrarsi un feticcio a un prezzo vantaggioso». Oggetti che servono due volte, è vero. Ma (adesso ancora di più) conta la facilità d’acquisto, dal prezzo alla semplicità di collocazione. Nella mostra mercato «Light for Charity», in corso da Illulian a Milano, protagoniste sono le lampade: «Costo accessibile, stanno ovunque: così il successo è più sicuro», spiega Francesca Pini di Design for Charity, che promuove le attività per l’infanzia malata della Fondazione Arrigo e Pia Pini di cui è presidente. «Sono architetto, da qui l’idea di coinvolgere le aziende di design con cui creiamo un contatto diretto. Libere di dare quello che vogliono, basta che sia un pezzo simbolico che sappia rappresentarle: per loro diventa veicolo di comunicazione». Con alcune firme c’è un rapporto consolidato: «Sebbene molti, per la crisi, abbiano ridotto il contributo. Alla fine, la soddisfazione di vedere le foto dei macchinari ospedalieri acquistati, che inviamo assieme al ringraziamento». Finalità concrete, quindi, e pochi orpelli: «Solo volontariato, tutto va a coprire le spese: è stata la molla che mi ha spinto a venire qui — afferma Silvia Airoldi, coordinatrice delle attività di supporto nella onlus L’Abilità (attiva nei servizi di aiuto per i bambini disabili) —. Nessun testimonial, ma le nostre forze e il passaparola», sottolinea. Così sarà per la cena natalizia da Carlo Cracco con lotteria che avrà anche pezzi di design: «Di marchi famosi, assieme a capi e accessori moda di boutique milanesi e una vacanza esclusiva. Tutti donati da amici, come l’ospitalità e il menu "stellato" della serata». Per tutti, partecipare è ancora possibile. Certo il design non può dare la felicità, ma forse contribuire sì.