Giuseppe Galasso, Corriere della Sera 17/11/2012, 17 novembre 2012
Luciano Canfora è noto quale detective in materia storica sui temi più vari. I suoi non sono, però, lavori di ginnastica intellettuale, eseguiti per il piacere di sciogliere un rebus
Luciano Canfora è noto quale detective in materia storica sui temi più vari. I suoi non sono, però, lavori di ginnastica intellettuale, eseguiti per il piacere di sciogliere un rebus. Li anima, invece, una passione civile e morale della verità, che gravita sempre su nuclei di problemi vivi e di spicco e risponde a profonde convinzioni politiche. Caso vissuto, quindi, di quella contemporaneità della storia, per cui è l’urgenza del presente a volgerci al passato e a renderne attuali i problemi; e il buono storico si distingue dal cattivo se la spinta del presente non altera ciò che del passato una corretta filologia ci può dire. Non è un caso, perciò, che Canfora inizi il suo nuovo libro Spie, Urss, antifascismo. Gramsci 1926-1937 (Salerno Editrice) con alcune colorite pagine sulle «storie sacre», ossia quelle in cui la ricerca è condizionata in partenza da fini ideologici o di parte. Qui si tratta del rapporto fra Antonio Gramsci, dopo il suo arresto nel novembre 1926, e il gruppo dirigente del suo partito — un rapporto, finché non vi fu la postuma santificazione, difficile — e di tre lettere di Ruggero Grieco a Terracini, a Scoccimarro e a Gramsci, insidiose per quest’ultimo, che perciò definì «criminale» quella diretta a lui. Per l’arresto (non facilmente evitabile) si configurano «pesanti ombre» e una inettitudine dei responsabili della sicurezza di Gramsci. Per le tre lettere — sfrondando al massimo la questione, che Canfora mostra al centro di scelte e condotte politiche rilevanti per la storia del comunismo italiano ed europeo negli anni di Stalin — emerge che Grieco si fece strumentalizzare da un qualcuno, mosso da torbidi fini e individuato in Angelo Tasca. Intorno a tutto ciò Canfora fa ruotare la dirigenza comunista italiana fra il 1926 e il 1937, con una folla di personaggi maggiori (Sraffa, Togliatti, Bordiga, Camilla Ravera, la cognata di Gramsci, i diplomatici russi a Roma) e minori o quasi sconosciuti, che egli porta in luce. Una puntigliosa indagine illustra poi tormenti e difficoltà della storiografia dei comunisti fino alla pubblicazione delle lettere di Grieco (di cui una copia, non si capisce bene come, finì nell’Archivio dello Stato in Roma). Si chiude, infine, con l’esame del pensiero gramsciano sull’affermazione del fascismo in Europa e sugli scenari aperti con la fine della prospettiva rivoluzionaria nell’Occidente europeo. Dalle sue analisi teoriche e storiche Gramsci emerge in tutto il rilievo di una rigorosa e vigorosa riflessione, in cui Luciano Canfora distingue tre fasi: quella «esordiale» fra il 1914 e il 1918, in cui egli si vota alla causa della rivoluzione socialista; la seconda, in cui crolla il sogno rivoluzionario e si hanno nuove condizioni nell’Europa fascista e nell’Unione Sovietica; la terza è quella del carcere e dei Quaderni, con un originale sforzo di riflessione storica e politica. Per noi è dubbio che la scelta «esordiale» di Gramsci sia quella dal 1914 in poi. Il Gramsci di allora, per nulla vergine, aveva alle spalle un’intensa vicenda intellettuale, in cui la rivoluzione era già sull’orizzonte e in cui aveva influito a fondo su di lui la cultura italiana (e soprattutto, per noi, checché se ne pensi, Croce). Senza questi incunaboli il pensiero gramsciano perderebbe, sempre per noi, alcuni suoi tratti di fondo. Nelle altre fasi, e in specie nella terza, Canfora riporta a Gramsci l’idea di una via nazionale al socialismo e vede in Togliatti l’erede di questo progetto, connesso, così, alla storia della democrazia italiana. Non si può qui approfondire la cosa, ma per il Togliatti post 1945 rimane sempre l’adesione piena, in effetti, alla linea di Mosca fin ben oltre i fatti d’Ungheria nel 1956, e ciò porta ad altre idee sul rapporto fra comunismo e democrazia in Italia. Il pensiero dell’ultimo Gramsci è, comunque, oggetto qui di un’analisi più che stimolante. Il fascismo come «rivoluzione passiva», la novità del nazismo, il corporativismo e il fascismo come «terza via», il rilievo dell’elemento nazionale, la riflessione sulle «rivoluzioni concorrenti», con le collusioni di Roma e poi di Berlino con Mosca, sono prospettive gramsciane, spesso di grande acutezza, che Canfora studia in pagine meritevoli di attento indugio. Si conclude, così, degnamente un «romanzo storiografico», ricchissimo di figure sia note che quasi ignote, nelle cui logiche comportamentali Canfora penetra spesso con acume; ricco, altresì, di vicende al limite del paradossale, se non dell’incredibile; e scritto con lucida e partecipe foga dall’autore di una ricerca, che vale anche come un eloquente monito contro errori e nefandezze a cui, nell’oppressione della libertà congiunta a spirito settario e all’accettazione di un verbo totalitario, idoli falsi e bugiardi (rivoluzione, nazionalismo o altro) possono portare i fautori di qualsiasi causa.