Alessandro Oppes, Il Fatto Quotidiano 17/11/2012, 17 novembre 2012
MUJICA, IL PRESIDENTE PIÙ POVERO DEL MONDO
El Pepe” vive in una modesta chacra , una fattoria nella zona rurale di Montevideo, dove coltiva fiori e ortaggi e accudisce la sua cagnetta, Manuela, che ha una zampa amputata. Una casetta, tre trattori e un vecchio Maggiolino del 1987: è tutto quello che hanno, lui e sua moglie Lucía. A 77 anni suonati, se solo volesse, potrebbe condurre una vita molto più agiata. Perché “El Pepe” (così lo conoscono tutti, gli amici ma anche il resto dei 3 milioni e 300 mila suoi connazionali) in realtà è José Mújica, e dal 2010 è presidente della Repubblica dell’Uruguay.
IL CAPO DELLO STATO “più povero del mondo”, dicono di lui. Un’etichetta alla quale si ribella indignato. “Poveri non sono quelli che hanno poco. Poveri sono quelli che vogliono molto”, ha detto in una recente intervista all’agenzia Afp . “Io non vivo in povertà, ma nell’austerità e nella rinuncia. Ho bisogno di poche cose per vivere”. È per questo che non ha accettato di risiedere nel palazzo presidenziale. Troppo lusso.
Ed è per questo che rinuncia al 90 per cento del suo stipendio da 10 mila euro al mese, destinandolo a un fondo di assistenza sociale. Quando proprio è indispensabile, solo per gli impegni ufficiali, viaggia a bordo dell’auto presidenziale, che però non è altro che una modesta Chevrolet Corsa. Qualche settimana fa, si è presentato a una riunione del Mercosur con il naso incerottato: era appena caduto mentre aiutava un vicino di casa a riparare il tetto danneggiato da un violento temporale.
Una filosofia di vita. Che però, assicura Mújica, "non ha niente di rivoluzionario". E’ solo l’approdo di una riflessione maturata al culmine di una vita segnata da momenti duri, anche drammatici. Come i 14 anni trascorsi in carcere, la maggior parte in condizioni subumane, fra torture e isolamento. Era uno dei dirigenti di punta del movimento guerrigliero dei tupamaros.
IL REGIME MILITARE che guidò il paese dal 1973 all’85 lo inserì nella lista dei nove ostaggi detenuti, che sarebbero stati uccisi se i ribelli avessero ripreso l’attività armata. “Sono riuscito a sopravvivere. E mi sono reso conto che uno a volte si crea problemi per delle stupidaggini. Essere liberi, in fin dei conti, significa spendere la maggior parte del tempo della nostra vita in ciò che ci piace fare. E se comincio a consumare troppo, devo impiegare tutta la vita a lavorare per ciò che sto consumando”.
Gli ultimi sondaggi dicono che gli uruguayani stanno cominciando a voltargli le spalle. Ma lui non si preoccupa. "”Sono fatto così. Non cambierò di certo a questo punto”.