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Il bar sport del lunedì
Maldini
Corriere della Sera
Il ritorno di Maldini al Milan chiude oggi una storia anche troppo lunga e a tratti nemmeno simpatica. Maldini non ha mai avuto un carattere facile, capita spesso ai grandi campioni, hanno in molte cose la stessa differenza un po’ dura che li divide dagli altri sul campo. Non so cosa cercasse Maldini dal Milan tutte le volte che lo ha rifiutato, né è molto chiara la qualifica che è stata adesso coniata per lui, ma è chiaro che oggi torna a comporsi una circonferenza, si chiude un angolo di vita e ricomincia l’avventura. Maldini porta oggi la storia nel nuovo Milan, porta se stesso, ma anche il meglio che tutto il Milan ha saputo essere. Maldini porta calce dura nel nuovo inizio, è lo specchio di un destino, la dimostrazione che non si vive solo per caso, che alla fine ritorna tutto. Credo che questo sia anche il ruolo più giusto per lui, meno divertente che fare mercato, ma più importante, altrettanto vitale. Maldini rappresenta l’eternità di un simbolo, vola al disopra della finanza e perfino dei risultati. Maldini c’è. Dentro questa identità torna davvero tutto il Milan, molto più che con l’arrivo prelibato di Higuain. Higuain ha il gusto forte del presente, della speranza. Maldini è la sua strada tracciata, è per sempre. È di questa Storia che c’era bisogno adesso per completare il cammino. Elliott ha il peso dei soldi, Leonardo è un professionista creativo che nella vita ha soprattutto viaggiato con la fantasia, non riesce da solo a fare il Milan. Molto del resto è stata confusione. Serviva una base, una continuità. I tempi erano giusti, adesso Maldini è tornato ad avere la stessa voglia di Milan che la squadra ha di lui. Non so cosa porterà ritrovarsi, ma è una storia che si chiude, torna a posto, ridiventa naturale. Non c’è più bisogno di bugie, torna la realtà di cui Maldini è la memoria e il guardiano. È un ruolo così totale che dovrà stare attento a gestirlo. Avrà scontri di competenze e gelosie. Se ci riuscirà, il Milan sarà lui per molto tempo.
Il ritorno di Maldini al Milan chiude oggi una storia anche troppo lunga e a tratti nemmeno simpatica. Maldini non ha mai avuto un carattere facile, capita spesso ai grandi campioni, hanno in molte cose la stessa differenza un po’ dura che li divide dagli altri sul campo. Non so cosa cercasse Maldini dal Milan tutte le volte che lo ha rifiutato, né è molto chiara la qualifica che è stata adesso coniata per lui, ma è chiaro che oggi torna a comporsi una circonferenza, si chiude un angolo di vita e ricomincia l’avventura. Maldini porta oggi la storia nel nuovo Milan, porta se stesso, ma anche il meglio che tutto il Milan ha saputo essere. Maldini porta calce dura nel nuovo inizio, è lo specchio di un destino, la dimostrazione che non si vive solo per caso, che alla fine ritorna tutto. Credo che questo sia anche il ruolo più giusto per lui, meno divertente che fare mercato, ma più importante, altrettanto vitale. Maldini rappresenta l’eternità di un simbolo, vola al disopra della finanza e perfino dei risultati. Maldini c’è. Dentro questa identità torna davvero tutto il Milan, molto più che con l’arrivo prelibato di Higuain. Higuain ha il gusto forte del presente, della speranza. Maldini è la sua strada tracciata, è per sempre. È di questa Storia che c’era bisogno adesso per completare il cammino. Elliott ha il peso dei soldi, Leonardo è un professionista creativo che nella vita ha soprattutto viaggiato con la fantasia, non riesce da solo a fare il Milan. Molto del resto è stata confusione. Serviva una base, una continuità. I tempi erano giusti, adesso Maldini è tornato ad avere la stessa voglia di Milan che la squadra ha di lui. Non so cosa porterà ritrovarsi, ma è una storia che si chiude, torna a posto, ridiventa naturale. Non c’è più bisogno di bugie, torna la realtà di cui Maldini è la memoria e il guardiano. È un ruolo così totale che dovrà stare attento a gestirlo. Avrà scontri di competenze e gelosie. Se ci riuscirà, il Milan sarà lui per molto tempo.
Mario Sconcerti
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Maldini
La Stampa
Il 31 maggio 2009 Paolo Maldini gioca la sua ultima di 647 partite con il Milan: ci sono voluti nove anni perché la strada del più forte difensore italiano di tutti i tempi incrociasse di nuovo quella del suo unico club. Paolo è stato a lungo corteggiato (Barbara Berlusconi c’è andata vicino, ma il figlio di Cesare forse voleva troppo e subito e così non se ne fece nulla) e se ha ceduto ora è perché ha intravisto finalmente un disegno per riportare il club dove merita di stare. Il Milan ai milanisti è stato il dogma degli anni d’oro berlusconiani, poi il Milan è andato a chiunque e i risultati si sono visti. Attenzione, però, se Maldini in campo è stato un fenomeno, le sue capacità dietro alla scrivania sono ancora tutte da dimostrare. Ma che abbia accettato e che abbia deciso, parole sue in occasione dei 50 anni appena compiuti, «che cosa fare da grande» è un altro segnale che qualcosa dentro il Milan è davvero cambiato. Avrà i galloni dirigenziali e un ruolo importante ma non così decisivo da non poter permettergli di sbagliare. Non si accontenterà di essere una bandiera, l’ha già fatto per 25 anni e vorrà contare nei meccanismi rossoneri però è il primo a sapere di dover tanto imparare. Parte oggi la nuova carriera di Paolo Maldini: di lui ha bisogno non solo il Milan, ma tutto il calcio italiano.
Il 31 maggio 2009 Paolo Maldini gioca la sua ultima di 647 partite con il Milan: ci sono voluti nove anni perché la strada del più forte difensore italiano di tutti i tempi incrociasse di nuovo quella del suo unico club. Paolo è stato a lungo corteggiato (Barbara Berlusconi c’è andata vicino, ma il figlio di Cesare forse voleva troppo e subito e così non se ne fece nulla) e se ha ceduto ora è perché ha intravisto finalmente un disegno per riportare il club dove merita di stare. Il Milan ai milanisti è stato il dogma degli anni d’oro berlusconiani, poi il Milan è andato a chiunque e i risultati si sono visti. Attenzione, però, se Maldini in campo è stato un fenomeno, le sue capacità dietro alla scrivania sono ancora tutte da dimostrare. Ma che abbia accettato e che abbia deciso, parole sue in occasione dei 50 anni appena compiuti, «che cosa fare da grande» è un altro segnale che qualcosa dentro il Milan è davvero cambiato. Avrà i galloni dirigenziali e un ruolo importante ma non così decisivo da non poter permettergli di sbagliare. Non si accontenterà di essere una bandiera, l’ha già fatto per 25 anni e vorrà contare nei meccanismi rossoneri però è il primo a sapere di dover tanto imparare. Parte oggi la nuova carriera di Paolo Maldini: di lui ha bisogno non solo il Milan, ma tutto il calcio italiano.
Paolo Brusorio
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Fognini
la Repubblica
Sono questi i sette mesi (e una settimana) che cambieranno per sempre il tennis italiano? E ancora: sono Fabio Fognini, Marco Cecchinato e Matteo Berrettini i nuovi Panatta, Barazzutti e Bertolucci? I tre eroi moderni hanno trionfato già in sei tornei, in questo 2018: ieri Fognini ha messo il suo primo sigillo su un torneo che non fosse sulla terra rossa, a Los Cabos, battendo Del Potro (da oggi numero 4), portandosi a soli due tornei da Panatta, l’italiano più vincente con 10 titoli. Non si vedeva un anno così ricco di soddisfazioni dal 1977: nell’ultimo ventennio l’Italia ha faticato per tenere vivo il proprio nome nell’albo d’oro di un qualunque torneo, anche minore e, dal 2007 al 2010, nessun azzurro è mai riuscito a imporsi. Oggi quel buco nero sembra dimenticato: com’è stato possibile? Quali sono le ragioni di questo boom? Qualcuno, come l’ex presidente della Federtennis Galgani, avrebbe detto: «Merito delle mamme». E forse questa è una delle ragioni per cui il tennis Italia ha faticato nella rimonta: non sono mai mancati i talenti, ma l’organizzazione. Ma se si tiene la casa in ordine, i conti a posto, il resto viene di conseguenza. Per dire: nel 2006 il fatturato degli Internazionali di Roma (che sostiene il movimento) era in rosso, nel 2016 ha prodotto 11 milioni di utili. La nuova Federtennis, quella del gruppo Binaghi, ha fatto triplicare tesserati e partecipanti e, nel 2008, ha riportato in tv lo sport con il canale Supertennis. Non sono i fattori che fanno vincere uno Slam o che creano i fenomeni, ma le premesse per cucire l’abito giusto, per il corretto ingresso in società. Matteo Berrettini è un ragazzo del ’96, e ha usufruito del nuovo vento che tirava in Italia. Poi ci ha messo del suo, essendo nato già saggio e ambizioso. Mentre Marco Cecchinato ha trovato la via giusta nel mezzo del cammin della sua vita sportiva (a 25 anni) e, infine, Fabio Fognini ha deciso di dare la sterzata giusta al suo talento e i fatti lo stanno dimostrando: tre titoli nello stesso anno li avevano vinti solo Barazzutti e Bertolucci (nel ’77). Tre ragazzi, tre storie e tre caratteri diversi: insieme hanno una sola cosa che li accomuna: una sana cattiveria sportiva e il focus deciso sull’obiettivo ben disegnato e pianificato. Le analogie con gli Anni Settanta si sprecheranno, ma la speranza è un’altra: che stavolta non si ripetano gli errori del passato, lasciando di nuovo alle mamme tutte gli oneri, e gli onori.
Sono questi i sette mesi (e una settimana) che cambieranno per sempre il tennis italiano? E ancora: sono Fabio Fognini, Marco Cecchinato e Matteo Berrettini i nuovi Panatta, Barazzutti e Bertolucci? I tre eroi moderni hanno trionfato già in sei tornei, in questo 2018: ieri Fognini ha messo il suo primo sigillo su un torneo che non fosse sulla terra rossa, a Los Cabos, battendo Del Potro (da oggi numero 4), portandosi a soli due tornei da Panatta, l’italiano più vincente con 10 titoli. Non si vedeva un anno così ricco di soddisfazioni dal 1977: nell’ultimo ventennio l’Italia ha faticato per tenere vivo il proprio nome nell’albo d’oro di un qualunque torneo, anche minore e, dal 2007 al 2010, nessun azzurro è mai riuscito a imporsi. Oggi quel buco nero sembra dimenticato: com’è stato possibile? Quali sono le ragioni di questo boom? Qualcuno, come l’ex presidente della Federtennis Galgani, avrebbe detto: «Merito delle mamme». E forse questa è una delle ragioni per cui il tennis Italia ha faticato nella rimonta: non sono mai mancati i talenti, ma l’organizzazione. Ma se si tiene la casa in ordine, i conti a posto, il resto viene di conseguenza. Per dire: nel 2006 il fatturato degli Internazionali di Roma (che sostiene il movimento) era in rosso, nel 2016 ha prodotto 11 milioni di utili. La nuova Federtennis, quella del gruppo Binaghi, ha fatto triplicare tesserati e partecipanti e, nel 2008, ha riportato in tv lo sport con il canale Supertennis. Non sono i fattori che fanno vincere uno Slam o che creano i fenomeni, ma le premesse per cucire l’abito giusto, per il corretto ingresso in società. Matteo Berrettini è un ragazzo del ’96, e ha usufruito del nuovo vento che tirava in Italia. Poi ci ha messo del suo, essendo nato già saggio e ambizioso. Mentre Marco Cecchinato ha trovato la via giusta nel mezzo del cammin della sua vita sportiva (a 25 anni) e, infine, Fabio Fognini ha deciso di dare la sterzata giusta al suo talento e i fatti lo stanno dimostrando: tre titoli nello stesso anno li avevano vinti solo Barazzutti e Bertolucci (nel ’77). Tre ragazzi, tre storie e tre caratteri diversi: insieme hanno una sola cosa che li accomuna: una sana cattiveria sportiva e il focus deciso sull’obiettivo ben disegnato e pianificato. Le analogie con gli Anni Settanta si sprecheranno, ma la speranza è un’altra: che stavolta non si ripetano gli errori del passato, lasciando di nuovo alle mamme tutte gli oneri, e gli onori.