la Repubblica, 6 agosto 2018
La manovra di Salvini costa 42 miliardi
Il rilancio di Salvini dalle spiagge dell’Adriatico su abolizione della Fornero, flat tax per le imprese e taglio delle accise sulla benzina, conferma che il vertice di venerdì scorso di Palazzo Chigi sulla manovra economica è stato tutto tranne che risolutivo. Da una parte il ministro dell’Economia Giovanni Tria che vede in 22,4 miliardi la manovra 2019 e cerca di ridurla alla metà negoziando con Bruxelles e accetta solo l’” avvio compatibile” di flat tax e reddito di cittadinanza, dall’altra la Lega che vuole spese per altri 20 miliardi e tifa per lo sfondamento del deficit- Pil verso il 3 per cento al grido di “Non è la Bibbia”.
Sembrano più cauti i grillini che vogliono il reddito di cittadinanza, che costa 17 miliardi, ma sembrerebbero per ora accontentarsi di un anticipo e soprattutto Di Maio recita la parte del bravo ragazzo dichiarando che non vuole” strappi” con Bruxelles. Basterebbe, se non fosse che all’estero guardano anche la nostra politica industriale e lì le parti tra “verdi” e” gialli” sono invertite: mentre Salvini è per il sì a Tav e Tap, i grillini con Toninelli e Lezzi frenano su tutta la linea.
È naturale che in questo clima di incertezza ci sia attesa per la reazione dei mercati di oggi: da metà maggio il Btp a dieci anni è cresciuto del 50 per cento, il peso sui conti pubblici del prossimo anno è già valutato in 4 miliardi e le banche, che hanno la pancia piena di titoli, hanno già “bruciato” quasi 3 miliardi nei propri bilanci. Ma soprattutto l’andamento del braccio di ferro tra Tria e i gialloverdi fa da “guida” agli investitori in titoli italiani: così da giovedì scorso, quando si è sparsa la voce di un vertice politico per impostare la legge di Bilancio, l’interpretazione più diffusa – e purtroppo corretta – è stata quella di un tentativo di” commissariare” il Tesoro. Non è riuscito: ma lo spread venerdì scorso ha chiuso oltre i 250 punti base.
La situazione dopo le dichiarazioni del week end, e in vista del nuovo vertice atteso per mercoledì 8 e del documento preparatorio affidato ai “tecnici”, non è migliorata. Un rapido calcolo sui rilanci di Salvini, come accennato, arriva a 20 miliardi: lo smontaggio della Fornero e l’introduzione di quota 100 tra età contributiva ed età anagrafica, costa 11,5 miliardi nel solo 2019; la promessa riduzione delle vecchie accise sulla benzina, se fosse di soli 20 centesimi, costerebbe 6 miliardi; mentre l’estensione del regime forfettario del 15 per cento per piccole imprese e professionisti dagli attuali ricavi di 25- 50 mila euro a 100 mila euro avrebbe bisogno di coperture per 2- 2,5 miliardi.
Lo spettro dell’aumento dell’Iva si allunga sulla manovra: naturalmente Di Maio e Salvini negano, ma gli studi che circolano dicono che esiste una strada per far scattare aumenti per 8 miliardi e per spenderne solo 4,5 per mettere al riparo le famiglie più bisognose intervenendo sul luce, gas e acqua. Si sa anche che Tria, prima di diventare ministro, si era espresso a favore di un aumento dell’Iva, come del resto fanno regolarmente Fmi e Ue nei loro rapporti tecnici.
La strada è quanto mai stretta. Anche perché la richiesta di flessibilità a Bruxelles potrà essere accettata solo con una forzatura politica. Attualmente la Commissione ci rimprovera di non aver corretto dello 0,3 il disavanzo strutturale del 2018 e pretende un intervento dello 0,6 nel 2019; siamo dunque in ritardo nel percorso verso il cosiddetto Obiettivo di medio termine volto a conseguire il pareggio di bilancio fissato da Fiscal compact e Costituzione italiana: dunque non abbiamo diritto a nuova flessibilità che può essere concessa solo quando avremo raggiunto un deficit strutturale dello 0,5 per cento del Pil (oggi siamo all’ 1 per cento). Inoltre, si aggiunge, devono passare quattro anni dall’ultima flessibilità concessa ( lo 0,71 del Pil nel 2016 per riforme e investimenti) al raggiungimento del pareggio di bilancio fissato al 2020, che il governo intenderebbe spostare al 2021.