Il Messaggero, 6 agosto 2018
La prevalenza del grafene
Ci sono materiali e risorse naturali che hanno permesso alla civiltà di compiere progressi enormi. Bronzo, ferro, acciaio, silicio. Da qualche anno comunità scientifica e industria discutono, con ottimismo crescente, del grafene, un materiale costituito da un singolo strato di carbonio spesso quanto un solo atomo. Il termine è stato coniato nel 1995, ma è solo con le ricerche del 2004 dei due fisici russi Andre Geim e Konstantin Novosëlov (premiati con il Nobel per la Fisica nel 2010), sul comportamento degli elettroni nello spazio a due dimensioni di uno strato di grafene, che è cominciata la corsa alle possibili applicazioni. Più è studiato, più le proprietà notevoli del grafene aumentano di numero e valore, al punto da fargli meritare l’appellativo di supermateriale.
È sottilissimo, ma la sua forza è incredibile; è flessibile, trasparente. Superconduttore, impermeabile ai gas e ai liquidi. Candidato ideale per utilizzi molteplici, dai pannelli solari all’abbigliamento sportivo alle comunicazioni ottiche, fondamentali per il futuro dell’informazione.
Nello studio del grafene, l’Italia riveste un ruolo primario, sia a livello teorico che nello sfruttamento pratico. E l’Europa non si è lasciata scappare l’opportunità: nel 2013 la Comunità Europea ha lanciato Graphene Flagship, un consorzio con un miliardo di euro a disposizione. Del vecchio continente si comincia a parlare come della Graphene Valley, in riferimento alla Silicon Valley californiana.
Professore, può descriverci lo stato della ricerca su questo supermateriale?
«Per prima cosa devo dire che non mi piace che venga chiamato così. Dopo anni di ricerca sappiamo che ci possono essere fino a cinquemila materiali ultrasottili come il grafene; questa scoperta è anche merito del lavoro di Marco Gibertini e Nicola Marzari del Politecnico di Zurigo. Abbiamo a che fare con uno zoo, una famiglia di materiali a due dimensioni: i cosiddetti 2D material. Il grafene è il capostipite, quello di cui oggi si conoscono meglio le potenzialità».
Quali sono le principali caratteristiche del grafene?
«Ha proprietà meccaniche uniche, massima conduttività termica ed elettrica; è più flessibile del silicio, si comporta quasi come una gomma e questo può avere un grande impatto in elettronica. Interagisce con la luce di qualsiasi colore, lunghezza d’onda e frequenza».
Quali sono stati i primi utilizzi pratici?
«Tra quelli che si possono già acquistare nei negozi, ci sono le racchette da tennis e gli sci Head in grafene, le gomme per bicicletta della ditta Vittoria: l’Italia ha contribuito molto anche in questo settore».
E le applicazioni rivoluzionarie?
«Il grafene può essere utilizzato nelle batterie, più piccole e con maggiore potenza. I tipici problemi di degradazione delle batterie, dovuti all’utilizzo, con il grafene sono molto ridotti. È fondamentale l’apporto che potrà dare alle telecomunicazioni. Nel passaggio dal 4G al 5G, cioè all’Internet delle cose, con miliardi di sensori che raccoglieranno dati, ci sarà bisogno di movimentare una massa ancora più grande d’informazioni un terabyte al secondo in tempo reale. E il grafene permette di trasferire dati con un consumo energetico quasi pari allo zero. Con un benefico impatto ambientale. Perché anche se non ci si pensa, già oggi il quattro per cento circa del global warming è provocato dallo scambio di dati. Un altro settore che potrà essere rivoluzionato è quello dei sensori inseriti nei vestiti (wearable technology) e quello del food packaging. Siamo abituati a etichette che offrono poche informazioni e non ci dicono in che condizioni sia il cibo o la bevanda che abbiamo davanti. Per esempio non sappiamo se, nel trasporto, abbiano subito degli choc termici. Le etichette intelligenti daranno ogni informazione».
Qual è la tempistica?
«Per questi utilizzi, penso che siano sufficienti dai tre ai cinque anni. Gli stessi necessari perché siano disponibili i primi tatuaggi intelligenti. Sono simili a pellicole di plastica da apporre sulla mano: contengono sensori e trasmettitori utili per monitorare e comunicare poi lo stato di salute di chi li indossa».
Quali sono gli ostacoli nello sviluppo di queste tecnologie?
«Oggi è facile produrre tonnellate o chilometri di grafene. Il problema è capire come produrlo per ogni differente utilizzo. Ci sono poi problemi molto terra terra: per esempio non è stato ancora risolto il problema della lavabilità dei vestiti contenenti sensori intelligenti. Non resistono alla prova della lavatrice. La washability è un problema serio».
Italia ed Europa sono in prima fila nelle ricerche sul grafene.
«Sì l’Italia si è subito messa a studiare il grafene: una settimana dopo il lavoro di Geim e Novosëlov, avevo già pubblicato il mio primo articolo scientifico. Oggi ci sono importanti centri di ricerca in molte università. A Pisa, alla Scuola Superiore Sant’Anna, al Cnr, al politecnico di Torino e di Milano. Le eccellenze sono anche nel privato, come la società napoletana Nanesa, GNext di Bologna, Directa Plus a Como. E Flagship Graphene è la struttura migliore che sia stata mai creata in Europa per ottenere finanziamenti importanti».