Corriere della Sera, 6 agosto 2018
Quel processo mediatico delle «Iene» contro Brizzi
Il «metodo Iene». La richiesta di archiviazione da parte della Procura di Roma, per il caso che ha visto il regista Fausto Brizzi indagato per violenza sessuale, ha di nuovo acceso i riflettori sui rischi connessi ai famigerati processi mediatici. E sono in molti a interrogarsi sulla strategia svolta da Le Iene (Italia 1), con le puntate che hanno messo sotto accusa Brizzi. Il fatto non sussiste, ha sentenziato il Tribunale. Il fatto sussiste, aveva dichiarato la Televisione, sottoponendo a una gogna mediatica di rara veemenza, a un linciaggio che ha avuto non poche conseguenze.
Uno s’immagina che l’autore del servizio Dino Giarrusso (è stato candidato con i grillini, ma non è stato eletto) chieda scusa per i danni d’immagine procurati e invece vige il contrario: Giarrusso vuole che Brizzi chieda scusa perché le ragazze da lui intervistate hanno detto la verità. Chi stabilisce la verità, il Tribunale o la Televisione? Come giustamente ha scritto Annalena Benini: «La giustizia in uno stato di diritto è forte perché è fredda, perché se non ci sono gli elementi per dimostrare la colpevolezza, assolve. Archivia. Libera. Il giudizio morale, che ognuno costruisce dentro di sé, è qualcosa di molto diverso».
Il giudizio «morale» spesso è inficiato da motivi personali, da risentimenti, è proprio quello che in questi anni ha fatto commettere molti errori alle Iene. Ne abbiamo già scritto: il caso Stamina, la bufala del Blue Whale (un macabro gioco che sfociava in suicidi), i No Vax, la minaccia nucleare nei laboratori del Gran Sasso e altri ancora.
Anche se il Tribunale si è pronunciato (in attesa della decisione del gip), le Iene sono ancora convinte della loro verità, così come è convinto della propria verità chiunque si eserciti sui social, chiunque faccia politica incurante delle regole della democrazia. È il «metodo Iene», non è un buon metodo.