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 2018  agosto 06 Lunedì calendario

Bin Laden junior e la figlia di Atta, matrimonio tra gli eredi del terrore

Uno scoop dopo l’altro. Il quotidiano inglese The Guardian, a pochi giorni dall’intervista con la madre di bin Laden, lancia il secondo colpo. Notevole, anche se tutto da confermare: Hamza, il figlio prediletto di Osama, avrebbe sposato la figlia di Mohamed Atta, l’egiziano che ha guidato il commando dell’11 Settembre, l’egiziano definito il soldato perfetto. L’unione – secondo i fratellastri del giovane, Ahmad e Hassan – sarebbe avvenuta in Afghanistan, l’ultimo rifugio della gerarchia storica del movimento. E lì si troverebbe la coppia.
Una rivelazione interessante, uno sviluppo che implica una serie di elementi. Sempre che sia tutto vero. Primo. Non si erano mai avute indicazioni che Atta fosse sposato e neppure che avesse dei figli. Secondo. I familiari del clan, pur avendo preso le distanze – a parole – dalle scelte estremiste di bin Laden, sembrano però rinvigorire l’immagine di Hamza agli occhi di tanti seguaci. Pare un’operazione ben studiata per rilanciare un nome e un cognome. Cosa non da poco visto che The Guardian ha potuto incontrare i parenti di Osama con l’intermediazione e l’autorizzazione delle autorità saudite.
È chiaro che il vincolo tra Hamza e la presunta figlia di Atta rappresenta, nella propaganda jihadista, la continuazione di un disegno. Il legame tra passato e presente attorno al pilastro dell’assalto dell’11 Settembre. Un passaggio di testimone sancito dal rapporto familiare nella più classica delle tradizioni: un altro figlio di bin Laden, Mohammed, ha avuto in sposa la figlia di Atef al Masri, a lungo uno dei principali esponenti militari della fazione e poi ucciso da un drone statunitense nel 2001. Cerimonia tramandata da un celebre video.
È comunque evidente il tentativo di far crescere ancora di più il ruolo di Hamza all’interno dello schieramento. Formalmente il capo è l’egiziano Ayman al Zawahiri, però è stato il figlio di Osama a prendersi la scena con ripetuti interventi sul web, ben più incisi di quelli del «dottore». Anzi, per alcuni osservatori Hamza potrebbe avere il duplice ruolo di ricucire lo strappo con quanti nello Stato Islamico vogliono staccarsi dal Califfo e di rilanciare la minaccia. Da tempo il giovane ha ribadito la sua volontà di vendicare la morte del padre, ha esortato i mujaheddin alla lotta, ha ripetuto la necessità di ampliare lo scontro con l’Occidente e i suoi alleati regionali. Parla da grande capo.
Osama, durante gli ultimi anni di vita, nascosto in Pakistan, ha più volte manifestato ansie e speranze per la sua prole. In alcune lettere, rese pubbliche dagli americani, il fondatore qaedista auspicava che facessero la scelta giusta ma nel contempo temeva che potessero essere neutralizzati dal nemico. Ad esempio, in un messaggio alla consorte all’epoca in Iran, metteva in guardia la famiglia sul pericolo che gli iraniani o altri potessero inserire dei microchip sotto pelle ai figli in modo da poterli seguire fino al suo rifugio.
Sulla vita privata di Mohammed Atta, figura introversa e timida, però capace di guidare i suoi uomini nella fase finale del grande attentato, non sono mancate le supposizioni, le speculazioni, i racconti a metà. Si era ipotizzato di una sua possibile relazione con un cittadino mediorientale detenuto in Spagna mentre alcuni anni fa una donna, spuntata in Florida, aveva sostenuto di essere stata la sua compagna. Voci perse nel tempo.
Nel 2016 la madre, Bozaina, aveva dichiarato al quotidiano spagnolo El Mundo che il figlio in realtà non era morto nella strage del 2001: gli americani lo hanno catturato e portato a Guantanamo. A suo dire l’intelligence avrebbe organizzato una manovra per accusare i musulmani di «terrorismo». Teorie cospirative condivise a lungo anche dal padre, convinto che Mohammed fosse rimasto vittima di una manipolazione, salvo poi cambiare idea.