Corriere della Sera, 6 agosto 2018
Breve ritratto del presidente venezuelano Maduro
Ma perché Nicolás Maduro? Cosa ha davvero spinto Hugo Chávez ormai moribondo a fine 2012 a scegliere come delfino per la successione il meno carismatico, il più impreparato del suo circolo, l’uomo che ha poi finito per sotterrare quel poco di romantico che conservava la «revolución bonita» e farne un regime dispotico che si accanisce su un popolo ormai alla fame? Un modesto «yesman», del quale si sospetta che nemmeno sia nato nel Paese che guida, ma nella vicina Colombia? Domande rimaste senza risposta, e sulle quali ancora molti si arrovellano oggi in Venezuela.
L’uomo del popolo (era conducente del metrò di Caracas e poi sindacalista) non è servito certo a riequilibrare il regime a favore della sua anima socialista e civile a scapito di quella militare, come forse immaginava Chávez. Al contrario, non ci sono mai stati tanti uniformati ai vertici del governo, delle imprese pubbliche, dei poteri locali come da quando Maduro è presidente. È l’unica soluzione che l’attuale leader ha trovato per resistere e non essere deposto per inettitudine.
Ha distribuito in misura crescente ai militari il potere e soprattutto le chiavi delle cassaforti: l’industria petrolifera e l’importazione di beni di prima necessità, dalle cui attività si possono ricavare enormi ricchezze personali. Senza dimenticare il miglior business di tutti, il traffico di cocaina. Numerose denunce, dentro e fuori il Venezuela, indicano direttamente nel vertice del chavismo e delle forze armate il controllo dei cartelli venezuelani.
Si disse, sempre all’epoca, che Maduro avrebbe garantito al Venezuela l’alleanza fraterna con Cuba, perché era lui l’uomo del regime più vicino ai fratelli Castro, e sarebbe stato Raul a strappare la promessa a Chávez in una stanza di ospedale all’Avana. La scelta ha favorito Cuba, finché ci sono state le condizioni per ricevere petrolio gratis, mentre il Venezuela non vi ha guadagnato nulla.
Se è vero, come afferma Maduro, di essere già sfuggito ad una ventina di attentati, allora l’unico beneficiato della fratellanza con i cubani è proprio lui, protetto dai migliori servizi segreti del mondo, come hanno mostrato le immagini di ieri con i quattro gorilla catapultati a difenderlo con lo schermo antiproiettile, una precauzione usata per decenni in pubblico dallo stesso Fidel Castro.
Per il resto i cinque anni e mezzo di potere di Maduro sono stati un disastro completo, senza alcuna possibilità di redenzione. In economia lo smantellamento di quel che restava dell’imprenditoria privata, l’abbandono agli incompetenti di quella petrolifera, i controlli a fini ideologici dei prezzi hanno portato al collasso del sistema, con l’inflazione che è stimata ormai al milione per cento all’anno e l’economia ridotta della metà.
Sul fronte dei diritti umani, Maduro è passato alle vie di fatto mettendo in galera gli oppositori (cosa che il suo predecessore aveva evitato di fare) o costringendoli all’esilio. Centinaia le vittime della repressione nella piazze. Purghe altrettanto pesanti ma più discrete sono avvenute di recente nelle forze armate, dove non manca mai qualcuno disposto a tentare di rovesciarlo.
Durante il suo governo hanno abbandonato il Venezuela milioni di persone. Non più solo gli «squallidi», come li chiamava Chávez, i borghesi con biglietto aereo solo andata per Miami o Madrid, ma fiumi di disperati verso la Colombia, il Brasile e il Perù, in cerca di cibo e medicine.
In politica estera, Maduro ha mantenuto la strana costellazione di alleanze ereditate dal suo predecessore, dagli iraniani ai bielorussi, da Daniel Ortega a Evo Morales, da Vladimir Putin agli intellettuali francesi di Le Monde Diplomatique, passando per qualche pentastellato o leghista di casa nostra, senza che si sia mai riusciti a comprendere veramente il motivo di tale passione, che non fosse il vecchio ed eterno antiamericanismo.
Tutti i nemici dei miei nemici sono i miei amici, insomma. Solo che negli ultimi anni Nicolás Maduro si è spinto laddove Hugo Chávez non aveva né avuto bisogno, né osato e cioè fino allo smantellamento completo della democrazia.