Corriere della Sera, 6 agosto 2018
Sandra Oh, la prima volta di un’asiatica agli Emmy
Quando Sandra Oh, all’inizio degli anni Novanta, ha dovuto convincere i genitori che aveva senso la sua decisione di lasciare gli studi per recitare, la promessa era che se non avesse combinato nulla nel giro di qualche tempo, sarebbe tornata sui suoi passi. Loro, entrambi immigrati coreani che avevano scelto il Canada (Nepean, sobborgo di Ottawa) come nuova casa, di fronte a tanta determinazione non avevano potuto che accettare. Sperando però che la figlia – «l’unica della famiglia senza un master», come ha ricordato recentemente l’attrice – non ci impiegasse troppo per fare retromarcia.
Così, quando la protagonista della serie rivelazione della Bbc Killing Eve ha segnato la storia dello spettacolo, diventando la prima interprete asiatica ad essere nominata agli Emmy come miglior attrice di una fiction drammatica, il primo pensiero è andato proprio alla mamma: «Mi sento enormemente grata e piena di gioia per questa nomination... Condivido questo momento con la mia comunità. Ps: penso che mia madre, a questo punto, possa essere soddisfatta».
Ironica, come il personaggio che, nel 2005, l’ha resa celebre nel mondo: la dottoressa Cristina Yang di Grey’s Anatomy. Lo stesso che l’aveva portata, in passato, ad essere nominata per cinque volte agli Emmy, ma sempre come miglior attrice non protagonista. Ora è diverso. Perché la candidatura come miglior attrice protagonista è, di fatto, un altro passo verso la rappresentazione delle minoranze nella più potente industria dello spettacolo. Un passo storico e quasi impensabile anche solo fino a due anni fa, fino a prima che partisse il movimento, promosso da Spike Lee, che denunciava gli Oscar «troppo bianchi» («Oscars So White»). Da allora, quello della valorizzazione delle minoranze è diventato un tema negli Stati Uniti. Molto è successo negli ultimi tempi e il fatto che ora il più importante riconoscimento televisivo possa andare a Oh, per la prima volta nei 70 anni del premio, lo conferma. «Mi sto sforzando di trovare le parole giuste per tutto questo – ha dichiarato l’attrice all’Hollywood Reporter —. Sono piena di gioia non solo per la serie, per me stessa e la mia famiglia. Ma anche per la mia gente. Spero che la mia comunità possa sentirsi rappresentata. Voglio che il movimento continui,che l’increspatura si trasformi in un’onda».
Nella serie – in Italia si vedrà a settembre su TimVision – Oh è un’agente ossessionata dall’assassina che sta ricercando. La seconda stagione è stata già confermata e ora, in attesa del 17 settembre, quando verranno consegnati gli Emmy, l’attrice vuole solo festeggiare. Nessuno spazio per le polemiche, sul perché questo traguardo non sia arrivato prima, per altre colleghe. «Da qualche parte bisognava pur iniziare, e dunque ora celebriamo che sia successo – ha detto l’attrice intervistata dal New York Times —. È una nomination che prendo nel modo più serio possibile perché mi rendo conto che non è importante solo per me. Il cambiamento è lento ma è in atto», ribadendo l’importanza di un’apertura verso gli attori di ogni razza, cultura e «size», taglia.
Un riferimento, forse, a Peter Dinklage; lui che, affetto da nanismo, è stato nominato anche quest’anno agli Emmy come miglior attore non protagonista per il suo ruolo nel Trono di Spade. Con sette candidature, è diventato l’interprete più nominato di sempre in questa categoria. «La presenza di tutti noi deve crescere», ha anche detto Oh, intenzionata a godersi questo traguardo per tutta l’estate, in attesa del verdetto. Un’estate in cui, in America, si aspetta l’uscita del film Crazy & Rich. Una commedia romantica in cui tutti gli attori del cast sono asiatici.