Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Giorgio Napolitano è stato confermato presidente della Repubblica con voto quasi compatto di Pd, Pdl, Scelta civica e Lega. Forte protesta di Grillo che grida al colpo di stato e stamattina sarà a Roma per arringare le sue folle. Già ieri, però, in parecchie città italiane si sono organizzate manifestazioni di protesta inneggianti a Rodotà, con cartelli in cui si annunciava ai democratici «Non vi votiamo più» e in cui venivano bruciate tessere del Pd. Bersani, come aveva preannunciato l’altra sera, ha cessato di essere segretario del partito un minuto dopo la rielezione di Napolitano. Con lui si è dimessa, oltre alla presidente Bindi (che respinge però ogni responsabilità in ordine al cattivo comportamento del partito nei primi due giorni), l’intera segreteria. Il congresso è in pratica già stato convocato. Napolitano parlerà alle camere riunite domani alle cinque del pomeriggio e, lo ha preannunciato lui stesso, in quel discorso definirà i termini all’interno dei quali ha accettato il secondo mandato.
• Come mai il Presidente, che aveva respinto persino con qualche sfuriata l’ipotesi di essere rieletto, alla fine ha ceduto?
Bersani, che al momento dell’elezione è addirittura scoppiato a piangere, è andato da lui ieri mattina a implorarlo. La sera prima il segretario s’era scagliato contro i suoi, che in cento avevano disatteso nel segreto dell’urna l’indicazione di votare Prodi («di voi uno su quattro mi ha tradito. E questo non è tollerabile»). Aveva annunciato le proprie dimissioni «un minuto dopo l’elezione del presidente» e preso atto del fatto che il Partito democratico, per le sue spaccature interne, non era più in grado né di proporre un candidato né di garantirne il sostegno. Non restava che l’extrema ratio di Napolitano, un nome che avrebbe ricompattato la gran parte dei parlamentari non grillini. Sono saliti al Quirinale, poco dopo Bersani, anche Berlusconi e Monti. Tutti avevano capito quello che stava succedendo, ma alle due e mezza, poco prima che cominciasse il sesto scrutinio, Napolitano ha sciolto la riserva, dichiarando in una nota che, viste le pressioni delle maggiori forze politiche e il delicatissimo momento che attraversavano il Paese e le sue istituzioni, avrebbe dato la sua disponibilità alla rielezione. Il comunicato conteneva anche la precisazione, molto importante, che la discussione sul prolungamento del mandato s’era svolta senza che venisse mai tirata in ballo la questione del governo e della maggioranza che avrebbe dovuto sostenerlo.
• Ci possiamo credere?
È difficile crederlo. Lo stesso fatto che esistano dei «termini», come ha detto lo stesso Presidente, all’interno dei quali la rielezione è stata accettata, significa che Napolitano ha voluto garantirsi un diverso atteggiamento delle forze politiche da questo momento in poi. Del resto, nella risposta alla comunicazione che gli è stata portata dalla Boldrini e da Grasso, Napolitano ha detto: «Ora serve un’assunzione collettiva di responsabilità».
• Quindi, potremmo dir così: durante l’elezione si sono scontrate due linee politiche, entrambe sconfitte, una favorevole alle larghe intese tra Pd-Pdl e Scelta civica (candidatura Marini) e un’altra che spingeva per un governo di sinistra, tentando ancora una volta l’asse col Movimento 5 Stelle (candidatura Prodi e candidatura Rodotà). Quale di queste due linee ha vinto con la rielezione di Napolitano?
Evidentemente quella del governo delle larghe intese. Il furore di Grillo e soprattutto di Vendola sta lì a dimostrarlo. Vendola annuncerà una nuova formazione della sinistra il prossimo 8 maggio e intanto è chiaro che romperà l’alleanza col Pd, puntando a risucchiare l’ala postcomunista del partito. Fabrizio Barca, prima ancora che Napolitano sciogliesse la riserva, ha dettato alle agenzie una dichiarazione in cui diceva di non capacitarsi del perché il Pd non votasse Rodotà o la Bonino. È il primo segnale della lotta congressuale che si aprirà all’interno dei democratici, e che vedrà a confronto la linea moderata di Renzi e quella radicale, o sindacale, dei Fassina e, appunto, dei Barca.
• Com’è andata la votazione, in termini numerici?
Napolitano ha avuto 738 voti, quasi tutti quelli che doveva avere (gliene mancano una quarantina). L’unico che ha contestato apertamente la rielezione è Corradino Mineo, il senatore pd ex giornalista del Tg3 e di RaiNews. A Rodotà sono andati 217 voti, nove in più di quelli a disposizione di M5S e Sel. Rodotà, a giochi chiusi, ha preso le distanze dalle manifestazioni che i grillini stavano organizzando in tutta Italia e anche dalla pretesa di Grillo che la rielezione di Napolitano sia un colpo di stato: «Sono sempre stato convinto che le decisioni parlamentari possano e debbano essere discusse e criticate anche duramente ma partendo dal presupposto che si muovono nell’ambito della legalità costituzionale».
• Che cosa ci si immagina per il governo?
Napolitano comincerà le consultazioni martedì. Ci si immagina un ruolo forte dei dieci saggi nominati dal Quirinale il sabato di Pasqua e che appartengono a entrambi gli schieranti. Per la presidenza del Consiglio si fanno i nomi di Amato (che la Lega non vuole) o di Enrico Letta. Nonostante il richiamo all’«assunzione collettivita di responsabilità» è purtroppo probabile che riparta il gioco dei veti incrociati.
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