Danilo Taino, Corriere della Sera 21/04/2013, 21 aprile 2013
IL DECLINO MILITARE DELL’OCCIDENTE
Per la prima volta dal 1998, l’anno scorso ha visto una riduzione delle spese militari nel mondo. Non di molto, dello 0,5% in termini reali, cioè a prezzi e tassi di cambio del 2011 costanti. È però una svolta: dovuta alla Grande Crisi che spinge molti Paesi verso l’austerità anche nella Difesa. Ci sarebbe da applaudire, se non fosse che il dato è il risultato della consistente riduzione delle spese nei Paesi ricchi al quale è però corrisposta una crescita degli investimenti nelle Nazioni emergenti che l’ha quasi offuscata. Come in economia, stiamo assistendo a uno scivolamento di potere — di hard-power — dalle vecchie alle nuove potenze. Uno dei risultati di questa tendenza è che per la prima volta dal collasso dell’Unione Sovietica — che agli armamenti dedicava grandi risorse — le spese militari degli Stati Uniti sono state inferiori al 40% di quelle globali. L’America resta di gran lunga il Paese che ogni anno investe di più nel militare: ciò nonostante, la discesa sotto quota 40% indica che un certo riequilibrio è forse iniziato.
Leggere i bilanci della Difesa non è una passeggiata. I numeri resi noti nei giorni scorsi dal Sipri — lo Stockholm International Peace Research Institute — sono però i riferimenti dai quali gli analisti partono: la loro attendibilità è ritenuta la più elevata in un settore opaco e coperto da parecchi top-secret.
Per mettere le cose in prospettiva: i 1.753 miliardi di dollari spesi per fini militari l’anno scorso sono per circa mille da imputare ai Paesi della Nato. Perdite di egemonia immediate, dunque, non sono in vista. È però un fatto che nel 2012 gli Stati Uniti abbiano ridotto gli investimenti nel settore del 6%, a 682 miliari di dollari. Un declino che dipende in buona parte dalle minori spese di guerra, passate da 159 a 115 miliardi: la tendenza continuerà nel 2013. Inoltre — nota il rapporto Sipri — anche 18 dei 31 Paesi europei che fanno parte della Nato hanno diminuito gli investimenti militari: l’Italia da 37,7 a 35,7 miliardi di dollari; ma leggermente hanno tagliato anche la Francia (da 62,7 a 62,6 miliardi) e la Gran Bretagna (da 60,3 a 59,8); la Germania ha invece incrementato l’impegno da 48,1 a 48,6 miliardi di dollari (ma il Sipri avverte che il dato è una stima).
Il secondo maggiore investitore del mondo in esercito, la Cina, ha accresciuto la spesa da 146,2 a 157,6 miliardi di dollari. La Russia, numero tre nella graduatoria, da 78,3 a 90,6. E molti altri Paesi asiatici, sudamericani, mediorientali e del Nord Africa hanno continuato ad aumentare le risorse destinate alla Difesa: l’Arabia Saudita è il regime che a essa dedica la maggiore percentuale di Prodotto lordo, l’8,9%. Più che a un crescere del pacifismo, insomma, stiamo assistendo a tagli dovuti alla crisi, più forti dove essa ha maggiormente colpito. Lo schema è: i declini di egemonia iniziano nell’economia, proseguono nel militare, finiscono con la politica e la cultura. Ma su tempi medio-lunghi.
Danilo Taino