Giuliana Ferraino, Corriere della Sera 21/04/2013, 21 aprile 2013
WALL STREET RISPOLVERA I BOND AD ALTO RISCHIO —
Sembrava una mossa anticonvenzionale da parte delle banche centrali per rianimare l’economia globale tramortita dalla peggiore crisi dagli anni 30, invece i tassi di interesse in America e nell’area euro (in Giappone lo sono da più di vent’anni) restano da oltre quattro anni a livelli vicini a zero. Con tassi di interessi reali, in molti casi, negativi.
L’era del denaro facile, in teoria, dovrebbe servire a far ripartire i consumi e gli investimenti e, quindi, fare da volano alla crescita. In parte questo sta succedendo, soprattutto negli Stati Uniti. La politica della Federal reserve, che continua a stampare denaro per comprare bond e ha fatto capire chiaramente che alzerà i tassi a beve finché la disoccupazione non scenderà fino al 6,5%, ha contribuito alla ripresa del mercato immobiliare e dell’automobile. L’Europa, stretta tra i rigurgiti della crisi dei debiti sovrani e l’austerità, invece fatica a uscire dal tunnel recessivo. Ma la politica monetaria, anche se con diversi gradi di aggressività, sulle due sponde dell’Atlantico, va nella stessa direzione.
Troppa liquidità e bassi ritorni, però, possono essere una miscela pericolosa: alimentano bolle, che prima o poi scoppiano. Che si tratti del mercato immobiliare o dei listini azionari. Ma tassi di interesse reali negativi, come succede nel caso del titoli del Tesoro Usa decennali, ad esempio, hanno risvegliato negli investitori anche la propensione per il rischio. I capitali lasciano i porti sicuri e i beni rifugio e si spingono a caccia di rendimenti più alti.
Lunedì 15 aprile l’oro ha perso oltre il 9% in un giorno, scendendo ai minimi dal novembre 2011. Le Borse continuano a salire e gli indici Dow Jones e S&P 500 a marzo sono tornati ai massimi dal 2008. Tanto che ora corriamo il pericolo di una correzione piuttosto severa, visto che i fondamentali economici non sono in sincronia con le attese del mercato.
In questa nuova normalità di bassi tassi di interesse tornano in voga le obbligazioni societarie, prodotti d’investimento più azzardati rispetto ai titoli di Stato per i risparmiatori meno sofisticati. Secondo Morningstar, nel 2012 sono stati immessi 535,2 miliardi di dollari nei fondi comuni che investono in corporate bond. Con la conseguenza che in Europa, ad esempio, anche un’obbligazione con un rating basso o un titolo spazzatura, cioè con una sola B di rating, l’anno scorso ha potuto pagare un interesse dimezzato dal 12% al 6%.
Ma la vera sorpresa è che Wall Street sta rispolverando anche quegli strumenti di finanza strutturata che hanno contribuito alla crisi ancora in atto. Prendiamo i famigerati subprime: negli ultimi mesi si è registrato un revival dei prestiti con elevate possibilità di default. Dall’inizio di gennaio sono stati emessi 5,7 miliardi di dollari di prestiti subprime per finanziare l’acquisto di un’automobile, in crescita del 30% rispetto all’anno scorso, calcola l’Economist. Che segnala anche il ritorno delle obbligazioni di prestito collateralizzati (collateralized loan obligations). Le Clo agiscono come fondi comuni: comprano un portafoglio di prestiti e poi li rivendono a fette agli investitori. Il rischio è diverso a seconda della tranche; e i prodotti più rischiosi sono quelli che per primi incorreranno in perdite se i prestiti non saranno rimborsati. Vi ricorda qualcosa? Ebbene nel primo trimestre di quest’anno sono stati emessi Clo per 27 miliardi di dollari, la metà del totale dell’intero 2012 e sui livelli del 2007.
Un altro esempio: i covenant-lite bond. Si tratta di prestiti con protezione minima in caso di un peggioramento della posizione finanziaria del debitore. L’appetito di rischio è tale che più della metà dei prestiti venduti a istituzioni non bancarie a gennaio erano covenant-lite, la più alta percentuale di sempre, indica Morgan Stanley. E sono di nuovo tra noi anche i cosiddetti leveraged loans, i prestiti concessi a debitori fortemente indebitati.
Un altro prodotto che sta incontrando di nuovo l’interesse degli investitori sono le obbligazioni strutturate basate su muti ipotecari delle imprese. Quest’anno Morgan Stanley prevede di emettere questo tipo di strumenti per un controvalore di 70 miliardi di dollari, contro i 45 miliardi del 2012.
Due riflessioni. La prima: sono passati poco più di cinque anni dall’inizio della crisi, ma il ricordo di che cosa l’ha provocata sembra già dimenticato. La seconda: dopo le condanne a voce e i proclami, i politici e i regolatori non hanno fatto molto per cambiare le norme e la regolamentare degli strumenti finanziari ad alto rischio è rimasta sulla carta.
Giuliana Ferraino