Luca Ricolfi, La Stampa 21/4/2013, 21 aprile 2013
DOPPIA SFIDA PER DESTRA E SINISTRA
Dunque il «nuovo» Presidente della Repubblica è Giorgio Napolitano. Incredibile. Semplicemente incredibile. Otto settimane di trattative e migliaia di incontri, telefonate, messaggi, riunioni diurne e notturne non sono bastate a mettere d’accordo le forze politiche su un nome che riscuotesse la fiducia di tutti.
Un vero disastro, una vera Caporetto. Ma disastro per chi?
Per le forze politiche, certamente, anche se in misura molto diversa: la figuraccia è stata collettiva, ma nessuno ha perso la faccia, la dignità e l’onore quanto il Partito democratico. Ma disastro anche per noi cittadini, che in questi due mesi di giochi politici abbiamo visto solo aggravarsi i problemi veri, che sono innanzitutto quelli economico-sociali.
E tuttavia, a ben pensarci, la conclusione della vicenda ha anche dei lati positivi. Certo, ci piacerebbe di più vivere in una democrazia normale, con un personale politico dotato di un minimo di senso delle istituzioni. Ci sarebbe piaciuto che, di fronte al dramma occupazionale che dovrebbero gestire, i nostri politici avessero deposto gli antichi rancori e i loro leader avessero trovato un accordo sia sul Presidente della Repubblica sia sulle cose da fare, come non molti anni fa seppero fare i politici tedeschi, con enormi benefici per il loro popolo.
Ma constatato nel modo più clamoroso che questo i nostri leader non sono proprio in grado di farlo, e che la qualità dei parlamentari che si sono scelti è quella che è, la rielezione di Napolitano non può non essere salutata con un sospiro di sollievo. I partiti hanno supplicato Napolitano di restare, perché non sono capaci di trovargli un successore. Questo significa che, da oggi in poi, il controllo della situazione torna al Presidente della Repubblica, e i partiti hanno molti meno gradi di libertà per i loro giochi e giochetti. Al prossimo presidente incaricato non sarà più permesso di cincischiare sulla pelle dei cittadini.
A me sembra un bene, anzi mi sembra la fine di un incubo. E’ probabile che, al nuovo premier incaricato, Napolitano chieda di formare un governo che faccia poche cose ma le faccia subito, e le selezioni solo fra quelle veramente utili all’Italia. Io non mi chiedo se un tale governo debba essere di destra o di sinistra, perché la destra e la sinistra, in Italia, hanno entrambe tradito i loro ideali. La destra non ha mai fatto la rivoluzione liberale che ha promesso infinite volte, la sinistra non è mai riuscita a rinforzare lo Stato sociale, accontentandosi di proteggere i già garantiti. Ecco perché, più che un governo «di larghe intese», che nasca da un compromesso fra destra e sinistra, quel che mi piacerebbe è un governo di sfida, che le mettesse entrambe di fronte alle responsabilità che hanno verso il paese, ma anche verso i rispettivi elettorati.
Responsabilità verso il paese significa varare subito, senza tatticismi e calcoli di parte, quei cambiamenti delle regole che aspettiamo da decenni: riduzione del numero di parlamentari, fine del bicameralismo, nuova legge elettorale, abolizione del finanziamento pubblico dei partiti. Ma significa anche non fermarsi a questo, perché limitarsi a cambiare le regole è come comprarsi una Ferrari e lasciarla in garage. La crisi italiana non è solo morale ma è anche, se non soprattutto, economico-sociale: azzerare i finanziamenti ai partiti non crea alcun posto di lavoro, semmai ne sopprime, a partire da quelli delle burocrazie e degli apparati politici. Se avremo un governo (e a questo punto penso che l’avremo, perché Napolitano non starà a guardare) è soprattutto della crisi delle imprese che dovrà occuparsi. Ed è qui che interviene la responsabilità verso gli elettorati della destra e della sinistra.
Chi ha votato a destra vuole più libertà per i produttori (meno tasse e meno adempimenti), chi ha votato a sinistra vorrebbe nuovi posti di lavoro e uno Stato sociale più generoso (più ammortizzatori sociali, più asili nido, più sanità, più istruzione). Questi obiettivi sono entrambi non solo ragionevoli, ma tra loro compatibili. Quel che fin qui li ha resi irrealizzabili, e li fa tuttora percepire come inconciliabili, è il fatto che né la destra né la sinistra sono state disposte a pagare il prezzo che la loro realizzazione comporta. La destra vorrebbe abbassare le aliquote facendo dimagrire lo Stato sociale (all’insegna della «lotta agli sprechi»), la sinistra vorrebbe rinforzare lo Stato sociale aumentando la pressione fiscale (all’insegna della «lotta all’evasione»). In breve, destra e sinistra cercano di realizzare i rispettivi obiettivi negando quelli dell’avversario politico. Di qui la paralisi, di qui il conservatorismo di fondo che le accomuna: la sinistra difende la spesa pubblica ma chiude un occhio sugli sprechi, la destra chiede aliquote più basse ma chiude un occhio sull’evasione. Così nulla cambia mai, e l’Italia resta prigioniera dei poteri di veto degli interessi di parte.
Ecco perché ci vuole qualcuno che sfidi destra e sinistra, non solo sul terreno del cambiamento delle regole ma anche su quello della politica economico-sociale. Qualcuno che abbia il coraggio di fare qualche proposta shock, come l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti, o la detassazione completa dei nuovi posti di lavoro per i giovani, o l’eliminazione progressiva dell’Imu sulla prima casa (si può fare: basta ridurre i costi della politica e tagliare le pensioni d’oro). Ma, soprattutto, qualcuno che metta destra e sinistra con le spalle al muro. La destra ha tutto il diritto di volere una drastica riduzione delle aliquote, ma non può pretendere di cercare le coperture a spese dello Stato sociale. La sinistra ha tutto il diritto di volere un rafforzamento dello Stato sociale, ma non può pretendere di finanziarlo con un ulteriore aumento della pressione fiscale.
Destra e sinistra vanno sfidate entrambe. Alla destra bisogna garantire che ogni euro sottratto all’evasione andrà in un fondo per la riduzione delle aliquote, a partire da quelle che gravano su lavoratori e imprese. Alla sinistra bisogna garantire che ogni euro risparmiato eliminando sprechi e inefficienze della Pubblica Amministrazione andrà in un fondo per ampliare lo Stato sociale, che in Italia è ancora gravemente incompleto (mancano asili nido, ammortizzatori sociali universali, sussidi per i poveri e i non autosufficienti). Solo così destra e sinistra non avranno più né alibi né scorciatoie, ma solo due potenti incentivi: la destra sarà «costretta» a combattere l’evasione fiscale (per poter abbassare le aliquote), la sinistra a combattere gli sprechi (per completare lo Stato sociale).
Questa, a mio parere, è l’unica via praticabile per far ripartire il motore dell’Italia: uno swap fra destra e sinistra, una sorta di inversione delle parti nelle due grandi «lotte», quella contro gli sprechi e quella contro l’evasione fiscale. Una via che richiede una rivoluzione copernicana nella mentalità della politica, ma che può dare risultati straordinari. E’ paradossale, ma proprio il fatto che tanto gli sprechi quanto l’evasione abbiano dimensioni enormi (rispettivamente 100 e 130 miliardi di euro) rende a loro volta enormi i nostri margini di recupero. Dimezzare entrambe le cifre consentirebbe alla sinistra e alla destra di realizzare molti dei loro sogni: 50 miliardi di sprechi in meno ci permetterebbero di avere uno Stato sociale modello, 65 miliardi in meno di tasse sui produttori renderebbero l’Italia un paese in cui si può tornare a fare impresa.
E’ un’utopia, dirà qualcuno. Sì, ma solo perché non ci proviamo.