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 2013  aprile 21 Domenica calendario

I FRANCHI TIRATORI VERA ESSENZA DELLA DEMOCRAZIA

Il libero voto segreto dei parla­mentari ha ricostituito in extre­mis l’unità rappresentati­va della nazione con la riele­zione di Giorgio Napolita­no. Ma prima ci siamo gio­cati Franco Marini (intesa e condivisione) e ci siamo giocati Romano Prodi (rottu­ra e divisione) a colpi di voto segre­to. Il luogo politico dell’ affaire è la lotteria mas­sonica detta anche «elezione del presidente» secondo la Costitu­zione più bella del mondo (fir­mato: Roberto Benigni). Lo stru­mento è il libero voto segreto di deputati e senatori, definiti cec­chini o franco- tiratori sul model­lo della guerra tra Prussia e Fran­cia degli anni 1870 e 1871.
Ragioniamo. Adottiamo que­sto modo di fare ormai esotico, così lontano dai clic della mente retina, così inusuale: ragionia­mo, argomentiamo, scaviamo nei concetti.Almeno un po’,sen­za boria, tanto meno boria del dotto. Sulla scorta del sen­so comune o del buon sen­so. Dunque. Perché sia dan­nato come spergiuro e tra­di­tore un depu­tato o senato­re, il quale aderisca formalmen­te a una decisione del suo grup­po p­arlamentare ma poi nell’ur­na voti in modo difforme, occor­re che si diano delle condizioni tassative. Bersani, comprensi­bilmente adirato con gli altri e non con se stesso, la fa troppo fa­cile.
La prima condizione è che quel voto in dissenso dato nel­l’ombra colpisca una decisione maturata nella libertà, argomen­tata razionalmente, presa in un contesto in cui esistevano alter­native visibili, dunque una deci­sione democratica effettiva.
La seconda condizione è chia­rire in modo esauriente a che co­sa serva il voto segreto, protetto da un catafalco e da opportune tendine, e perché sia considera­to irritale e di cattivo gusto sot­trarsi alla regola del voto segreto magari fotografando la scheda con il telefoni­no o ricorren­do a mezzuc­ci grafici, co­me per esem­pi­o la formula­zione «R. Pro­di » che sareb­be stata adot­tata da Vendo­la e dai suoi nel fatale quarto scrutinio di venerdì po­meriggio in cui Prodi cadde con grande fragore e dolore.
La mia tesi è che, prima condi­zione, le decisioni prese per ac­clamazione, come nelle tribù barbariche, e proposte nomina­tivamente qualche ora prima del voto, sono una caricatura del­la democrazia politica, e corri­spondono purtroppo al metodo di elezione del capo dello Stato che è proprio della nostra Costi­tuzione, che non è la più bella del mondo, sul modello del­l’adunata massonica. La segre­tezza è il codice, il linguaggio pre­ferito della p­rocedura costituzio­nale di elezione del primo magi­strato della Repubblica. Se fatti in pubblico, si dice che i nomi si bruciano. Nessuno mai si candi­da con un programma e con le sue idee e per realizzare un certo modello politico civile, tutti so­no sempre portati, sostenuti, in­vent­ati da king maker che non so­no corpi elettorali scelti dai citta­dini ma forze potenti, ovvero oli­garchie del sistema dei partiti (e anche estranee ad esso). Il parla­mentare è da sempre il termina­le, che si vorrebbe inerte ma tal­volta non lo è, di questa procedu­ra decisamente antidemocrati­ca. Tutto parte da una circostan­za, la scadenza del mandato o le dimissioni del presidente in cari­ca, e dalla fissazione di una data nella quale le Camere si riunisco­no come seggio elettorale, il che significa che sono chiamate ad eleggere al buio, senza alcun po­tere di discussione parlamenta­re, o sulla scorta di indicazioni sghembe, traversali, presunti­ve, l’uomo fatale che sarà per set­te lunghi anni l’inquilino del Quirinale. Se è così, ribellarsi è giusto, come diceva il Grande Ti­moniere cinese.
Si obietterà. Ma ribellati a viso aperto, perdinci, non essere ipo­crita, non è una bella cosa menti­re, dire che sì, si è d’accordo su un nome, e poi «impallinarlo» nel segreto dello scrutinio met­tendo nei guai il tuo partito o la tua coalizione, per non parlare di un Paese smarrito. Ma l’espressione importante è «nel segreto dello scrutinio», tutto il resto è retorica o questione etica che vale nei comportamenti pri­vati o pubblici, in famiglia e nella professione,ma non nell’eserci­zio della sovranità politica de­mocratica. Qui siamo in una isti­tuzione repubblicana che si è vo­luta regolare, e su tali questioni avviene in tutto il mondo, con la procedura sacra del voto segre­to. E perché? Ora io affermo una cosa evidente ma accuratamen­te nascosta tra le righe dell’ipo­crisia del potere. Il voto segreto serve proprio a consentire con il timbro della legalità lo svincolar­si del parlamentare da decisioni non democratiche, sebbene a quel modo acconciate tanto per far scena. Il voto segreto è garan­zia che l’eletto sia prescelto da un’assemblea libera, che ha sempre il potere di rigettare, co­munque si siano espresse, pres­sio­ni e trappole che imprigiona­no la volontà e obbligano in una certa direzione. Il parlamentare rappresenta la nazione, dice la Costituzione, e in questo non sbaglia. Non è una pedina in ma­no ai gruppi dirigenti dei partiti e dei movimenti anche a 5 Stelle. E lo strumento che gli consente di rappresentare la nazione si chiama voto segreto.
Dunque, i franco-tiratori so­no gli­eroi della libertà parlamen­tare e il voto segreto che li legitti­ma e li giustifica è la garanzia che le decisioni siano prese in nome del popolo italiano, e non di Ber­sani o chi per lui. Per Franco Ma­rini mi dispiace, ma il quorum era troppo alto, la forza persuasi­va di un’intesa tra il Pd e il Cav e Monti è logorata e non unifica due terzi dei rappresentanti del­la nazione. Per Romano Prodi non posso dire che mi dispiac­cia, anche senza maramaldeg­giare, ma anche lì vale lo stesso ragionamento. Per Napolitano, la proposta era persuasiva, sape­va di democrazia politica effi­ciente e seria, ed è passata senza problemi anche a voto segreto. Sempre che si possa continuare a ragionare, direi, tra un tweet e l’altro,tra un golpe e una marcia da operetta, che non tutto è be­ne quel che finisce bene, ma provvisoriamente è finita bene. Grazie ai traditori.