Stefano Zurlo, Il Giornale 21/4/2013, 21 aprile 2013
SONO ASSASSINE, MA QUANTI MISTERI IN QUELLA FAMIGLIA
Come in un romanzo di Simenon. Ci dev’essere un segreto inconfessabile nella tragedia di Avetrana. Concetta, la mamma di Sarah, dal primo giorno punta il dito contro la foto di gruppo e ripete: «Cercate in famiglia». La famiglia di Michele. Un piccolo clan che in questi anni ha resistito come un bunker alle bordate della magistratura, alle incursioni dei media, alla tattiche dei diversi protagonisti. Un pugno di contadini della Puglia più profonda, facce antiche fra gli ulivi e il mare, ha tenuto in scacco la magistratura e il Paese intero. Furbizia, uno spirito di sacrifico male inteso e qualcosa di non detto che nessuna cimice o intercettazione è riuscita a strappare.
C’è una ragazzina,solare e spensierata come la sua età richiede, che in quella villetta ben tenuta in fondo al paese ci va spesso e volentieri perché lì abita la sua seconda famiglia; ma ha fatto male i suoi calcoli e finisce in trappola: evidentemente qualcosa stride. Sotto la crosta di quelle esistenze immerse nella campagna, con ritmi antichi e calendari massacranti, ribollono passioni altrettanto elementari che possono rompere la monotonia della routine tagliandola con un lampo di violenza cieca.
Michele, poveretto, si alza alle tre del mattino e si spacca la schiena nei campi, come in un racconto dell’Ottocento. Fatica e sudore. Ma dietro le mura domestiche, a quanto abbiamo imparato, c’è altro. Michele non dorme nemmeno nel lettone, lui è confinato in una branda, come un precario, perché di là, la camera, è il regno delle donne. Cosima e Sabrina.
Sabrina, la cugina, sfigura nel confronto:è l’icona della mediocrità. Fa o vorrebbe fare l’estetista, ma soprattutto vorrebbe colorare quella cartolina grigiastra. Non è facile vendere bellezza e charme per lei che è tarchiata e bruttarella. Sua cugina sì che indossa come un vestito naturale grazia e leggiadria: è lì che scocca la scintilla assassina? Leggeremo le motivazioni della sentenza perché, udienza dopo udienza, non è che abbiamo capito. Può essere che il motore di Sabrina abbia funzionato in questi anni con la benzina dell’invidia, come in un saggio di Girard, e poi sia esploso nel rogo finale. Ipotesi.
Sua madre Cosima è una maschera impenetrabile. Qualcosa, e più di qualcosa, si coglie dai dettagli. Un pomeriggio, con i cronisti assiepati lì davanti, col mondo intero che vuol sapere e si è dato appuntamento a casa Misseri, Michele torna dai campi. Sempre con quel cappellino in testa, segno distintivo come lo stuzzicadenti per Pacciani, altra figura arcaica e altro presunto mostro che probabilmente aveva solo il phisique du rôle dell’orco, e Michele vorrebbe fermarsi a conversare con i microfoni e i taccuini. Ma lei, con un gesto impercettibile, lo spinge dentro e chiude la porta. Senza nemmeno dover pronunciare una sillaba. Inesorabile. Una scena che vale come una sentenza e che prefigura quel che può essere successo quel 26 agosto. È Cosima la padrona di casa. Lui ubbidisce perché la moglie tiene la cassa, tiene la proprietà, tiene la roba. E chissà che non sia lì, frale pieghe dell’eredità e dell’economia domestica, il mistero che Sarah ha forse sfiorato. Chissà. Cosima gestisce la famiglia, Michele, sempre in bilico fra scaltrezza e mitomania, è solo un soldato. Tace. Poi fa trovare il corpo della nipotina, poi comincia la giostra delle versioni che spiegano e confondono tutto e tutti. Il garage. Il compressore. La cinta. La corda. L’auto. La contrada Mosca. L’omicidio per un movente sessuale che convince poco o nulla. È scabrosa, la chiave del giallo? No, forse c’entra l’invidia. O la roba. O l’odio che tagliava come una faglia le famiglie di Cosima e Concetta. Ma forse tutte queste spiegazioni si tengono insieme e legano madre, padre, figlia. Una ragazzina entra in quel nido e finisce a marcire in un pozzo. Michele la toglie di mezzo senza pietà, qualcuno l’ha uccisa, tutti mentono e nessuno l’ha protetta. Forse il lampo di morte è partito all’improvviso, anche se le condanne all’ergastolo rimandano ad una premeditazione luciferina, ma c’è un collante feroce, al di là del gioco delle parti e del rimpallo delle colpe e delle responsabilità, che tiene insieme Cosima, Sabrina e Michele. Qualcosa di ancestrale, ben mimetizzato fra la cucina, il salotto e la cabina da estetista di Sabrina. Il pianto della figlia, il silenzio della mamma, la sceneggiata senza misura del padre: la recita è durata troppo a lungo. E non ci ha permesso di leggere l’epilogo. Il segreto è rimasto dietro quelle mura impenetrabili.