VARIE 21/4/2013, 21 aprile 2013
ROMA - Beppe Grillo ieri aveva gridato al "golpe". Oggi, in conferenza stampa al Testaccio, corregge il tiro e parla di "golpettino istituzionale furbo"
ROMA - Beppe Grillo ieri aveva gridato al "golpe". Oggi, in conferenza stampa al Testaccio, corregge il tiro e parla di "golpettino istituzionale furbo". Si definisce "perplesso" e continua, rivolto ai giornalisti, che per la prima volta hanno la possibilità di fargli delle domande: "Ieri sera abbiamo assistito a qualcosa di consueto: si sono riuniti nella massima trasparenza quattro persone, Bersani, Berlusconi, Monti e Napolitano, e hanno deciso che il settennato andava rinnovato". E ironizza: "Neanche Chavez è stato presidente per 14 anni". Racconta poi di quando è salito al Colle per le consultazioni. "Quando sono andato da Napolitano, ho visto un signore molto stanco. Ho parlato quasi sempre io: gli ho chiesto di darci la fiducia, perché siamo il primo partito, voltiamo pagina. Lui ha risposto: non avete i numeri". E conclude: "Ieri c’è stato uno scambio: stanno rubando un altro anno di tempo al Paese. Ma se il governo sarà sull’agenda Monti, e così sarà, non durerà". La protesta dei grillini. Oggi alle 15 in piazza Santi Apostoli, la piazza "simbolo" dell’Ulivo, si è svolta la manifestazione del Movimento 5 Stelle contro la rielezione di Giorgio Napolitano al Quirinale. Il sindaco di Roma Gianni Alemanno era preoccupato: "Non ci faremo invadere", aveva detto. Ma Beppe Grillo non è riuscito ad arrivare. E’ giunto vicino ma c’era troppa gente, così è salito sopra la sua auto, a ridosso della piazza, ha salutato dicendo "arrendetevi" (DIRETTA MULTIMEDIALE) poi è andato via in auto (VIDEO - FOTO) lasciando la capitale. Le migliaia di persone presenti hanno continuato a sperare tornasse, immobili. Poi la folla si è spostata. Dopo aver atteso per circa due ore e ottenuto l’autorizzazione delle forze dell’ordine, è andata verso il Colosseo dove ha gridato slogan contro Napolitano e i partiti. Il numero dei partecipanti non è chiaro. Probabilmente erano qualche migliaio, ma il sindaco Alemanno attacca: "Per adesso la retromarcia su Roma si è conclusa con un flop - afferma il sindaco - Qualche centinaio di manifestanti, nonostante tutti i proclami sull’invasione di Roma che doveva circondare le stanze e le aule delle istituzioni". Il centro di Roma è rimasto comunque paralizzato tutto il pomeriggio. Grillo ha parlato attraverso Twitter e la Cosa: "Se è una cosa pacifica, una passeggiata, si fa perché Roma è splendida. Ma senza fare manifestazioni che possono degenerare". VIDEO - FOTO Lo scouting di Bersani. In precedenza era tornato a criticare duramente Bersani: "Non ci ha chiesto collaborazione, ma voti. Se ci avesse detto ’governiamo insieme’ ci saremmo messi lì a pensarci. Se i partiti poi si sfasciano non è colpa nostra". Accusa il leader Pd di non averlo ascoltato: "Noi vogliamo acqua pubblica, sanità pubblica, mandare via i delinquenti dal parlamento, reddito di cittadinanza. Queste sono cose di sinistra". E se venerdì aveva esultato all’annuncio delle dimissioni da segretario dei democratici, oggi si mostra più comprensivo: "A me di Bersani dispiace - ammette - non gioisco del fatto che il Pd si sia spaccato. Bersani deve fare scouting su se stesso, deve dirsi sono parte di questo sfacelo". "Dico che sono dentro una cosa che è finita - ha aggiunto -. Il tempo dei partiti è finito. Il nostro format lo stiamo esportando in Spagna, in Francia. Gli indignados hanno il nostro stesso programma". Grillo non indugia in pietismi e conclude l’analisi delle elezioni presidenziali con un affondo a Pd e Pdl: "Rodotà sarebbe stato la garanzia di questo Paese. Invece scelgono di nuovo un presidente che garantisce il controllo sul potere giudiziario per salvare il culo a Berlusconi e al Pd per la storia del Monte dei Paschi di Siena". Difende infine i 5 Stelle dalle accuse di immobilismo: "La cosa più ingiusta è dire che noi siamo gli artefici di questo casino, quando loro hanno inciuciato per più di 20 anni". No alla violenza. Sulla rinuncia a partecipare alla manifestazione di ieri a Piazza Montecitorio, chiarisce: "Ieri sera potevo venire in piazza, ma avevo paura che la mia presenza potesse favorire la violenza. Io non voglio entrare in questi giri". La sua, dice Grillo, non voleva essere una "calata su Roma", ma andare "per incontrarci e manifestare, non per fare cose violente". E ammette di concordare con le parole di Stefano Rodotà, che ieri da Bari, ha sconfessato il comico genovese: "Il Parlamento è democrazia - ha detto il giurista- non mi sono mai piaciute le marce su Roma. Si dissente nelle sedi e nelle forme istituzionali". Anzi, Grillo si riconosce il merito di "calmare gli animi" in questo momento di crisi del Paese: "C’è gente che mi dice andiamo a Roma, o fucile o niente. Dovreste ringraziarci perchè teniamo calma la gente. In Francia, in Grecia ci sono i nazisti, qui ci sono i grillini che hanno due palle così". L’Opa sui giovani del Pd. E si rivolge ai giovani del Pd, rilanciando il leitmotiv della fine della politica dei partiti: "Cosa dico ai giovani del Pd? Che la forma della politica attraverso i partiti è finita. Loro sono stati traditi dalla forma di dare la delega a qualcun altro. La delega la prendi tu". E lancia "un’Opa" a chi vuole dialogare: "Rimanete nel Pd? Benissimo, ma le idee facciamole insieme". M5S all’opposizione. Alla domanda sulla posizione dei grillini nei confronti del futuro esecutivo risponde Roberta Lombardi, capogruppo 5 Stelle alla Camera: "Se i nomi sono quelli di Amato o Letta, non c’è spazio per noi". E rivendica: "Ieri siamo stati gli unici a uscire da Montecitorio a testa alta". Quanto alla legge elettorale, Vito Crimi, capogruppo M5S al Senato, assicura che il movimento ha già presentato una proposta in funzione anti-Porcellum. Aspettando Beppe. Ieri Piazza Montecitorio era stata presidiata fin dal mattino, ma è stato quando è arrivato l’annuncio della avvenuta rielezione, poco dopo le 18, che è esplosa: "Vergogna", "buffoni", "tutti a casa", i cori più ripetuti. La folla è cresciuta a dismisura fino a invadere la vicina piazza Colonna, di fronte a palazzo Chigi, e poi tutto il centro."Ci sono momenti decisivi nella storia di una Nazione. Oggi, 20 aprile 2013, è uno di quelli. E’ in atto un colpo di Stato", ha commentato Beppe Grillo sul suo blog. Si attendeva il suo arrivo, in un clima di tensione crescente, con i blindati delle forze dell’ordine che avevano bloccato l’accesso al Parlamento e a palazzo Chigi. Poi lo stesso Grillo ha prima pubblicato un monito su Twitter: "Una raccomandazione: nessun tipo di violenza, ma solo protesta civile. Isolate gli eventuali violenti". E poi l’annuncio di un passo indietro: "Arriverò a Roma durante la notte e non potrò essere presente in piazza. Domattina organizzeremo un incontro con la stampa e i simpatizzanti". PEZZO DI OGGI DI ALESSANDRA LONGO ROMA — «Un colpo di Stato». Dice proprio così Beppe Grillo quando ormai è chiaro che Giorgio Napolitano sta per essere rieletto presidente. Parole incendiarie, invito dal blog ad accorrere in piazza: «Oggi, 20 aprile 2013 è in atto un colpo di Stato. Pur di impedire un cambiamento sono disposti a tutto. Sono disperati ». E’ metà pomeriggio e il guru CinqueStelle chiama «alla mobilitazione popolare». E’ lontano da Roma, ancora in Friuli, ma affida ai suoi il compito di organizzare la rivolta davanti a Montecitorio. Toni enfatici: «Dobbiamo essere milioni. Spargete il Verbo. Qui o si fa la democrazia o si muore come Paese». Il tam tam funziona, l’invito è preso sul serio, la folla preme e si posiziona per il Grande Evento, i poliziotti tirano fuori gli scudi. Spira un’aria non bella, basterebbe poco ad accendere la miccia. Ed è forse per questo che, alla fine, Grillo cederà. Dopo un lungo tira e molla, rinuncia al bagno immediato di popolo, lodato dai suoi «per il senso di responsabilità: «Arriverò a Roma a notte fonda e non potrò esserci». La manifestazione potrebbe consumarsi oggi (anche se, a tarda sera, la costola laziale del Movimento non parla più di piazze ma di una generica «voglia di trovarsi insieme nei parchi»). Il fuoco è comunque acceso, la guerra alle istituzioni, di cui peraltro i grillini hanno deciso di far parte, dichiarata. Al punto di eccitare gli animi dei fascisti di Forza Nuova che, caspita, riconoscono come familiari le parole d’ordine e annunciano di non volersi perdere la marcia su Roma. Al punto che, quando è già buio, cinque cellulari dei carabinieri bloccano un gruppo di arrabbiati che, da Montecitorio, tenta di avvicinarsi al Quirinale blindato. Tocca a Stefano Rodotà, nel cui nome si organizza tutto questo, a disconoscere l’impresa che certo non è nel suo stile. «Non c’è mai stata — accusa Grillo — una contrapposizione così netta, così spudorata, tra Palazzo e cittadini». Nota da capopopolo. Viene stampata e diffusa in piazza. E’ il primo pomeriggio. Ancora non è successo nulla. Dentro stanno votando, e la gente assiepata spera nel “miracolo” laico di una ormai impossibile elezione di Rodotà. Ondeggia, urla, impreca. Effetto stordente di due nomi pronunciati insieme, due nomi di sinistra pronunciati l’uno contro l’altro. Due papi per due fedi. «Napolitano non sei il nostro presidente!». «Noi vogliamo Rodotà, noi vogliamo Rodotà!». Le parole sono affilate, irrispettose. Il pubblico è un mix esplosivo di orfani del Pd, qualunquisti incazzati, destra in cerca d’autore, anche Comunisti di Rifondazione con Ferrero. Italiani che ce l’hanno con il mondo, che detestano tutto ciò che fa e dice quel Palazzo. Rabbia che monta. Alimentata dalla sfilata continua dei parlamentari grillini. Lasciano l’aula e vengono lì ad incendiare gli animi. Ecco Roberto Fico, a suo tempo candidato CinqueStelle alla poltrona della Boldrini: «Oggi più che mai va alzata l’ascia di guerra, l’ascia della democrazia, della libertà e del cambiamento». L’ascia di guerra. Inutile sorprendersi poi se qualcuno, in un clima così eccitato, va oltre, evoca (lo abbiamo sentito personalmente) le «mitragliatrici». Gioco pericoloso, borderline. I giovani poliziotti messi a guardia del bidone sono nervosi, preoccupati, soprattutto quando dalla folla arriva il grido: «Entriamo!». Entriamo nel Palazzo, cacciamo gli usurpatori, gli inciucisti. Frasi che certo Rodotà, il candidato anti — casta, mai sottoscriverebbe. E che Nichi Vendola, pur avendo votato come i Cinque Stelle, non gradisce. Di qui l’invito a Grillo, che è ancora in viaggio: «Bisogna pesare le parole, evitare di introdurre veleno nel dibattito politico. Questo non è un golpe ma un’alleanza di nomenklature». Pesare le parole: è come chiedere a Grillo di non esistere. La nota con la chiamata alla mobilitazione è già scandita in piazza: «Quattro persone: Napolitano, Bersani, Berlusconi e Monti si sono incontrate in un salotto e hanno deciso di mantenere Napolitano al Quirinale, di nominare Amato presidente del Consiglio...». Ormai il tappo è saltato. Chi esce da Montecitorio, per il solo fatto di essere transitato tra quelle mura, viene considerato un nemico del nuovo. Fischiano Giovanardi come potrebbero fischiare Ambrosoli. Dileggiano la Finocchiaro: «Vieni qui, così ti spieghiamo cosa vuole la gente». Accolgono a braccia aperte solo i loro parlamentari, Di Battista, Fico, Gianrusso. Loro sono puliti, loro non hanno votato Napolitano, «il fantoccio», il vecchio sponsor dell’inciucio, l’artefice, secondo lo spericolato teorema di Grillo, del «colpo di stato». Vilipendio? Non sanno cos’è. Non vogliono sentir ragioni, argomenti: «Siamo rappresentati solo dal nome di Rodotà ». Lo dicono prima ma anche dopo. Che idea avete della democrazia? «Ci siamo stufati di essere ingannati, imbrogliati. Staremo qui in assemblea permanente. Devono andate tutti a casa, sparire». Sotto la regia di Gianfranco Mascia, gia capopopolo del movimento viola, passato per l’Italia dei Valori e per Sel, eccoli osservare cinque minuti di silenzio contro il Palazzo che ha scelto le larghe intese. Teste chine, dita puntate in alto. A quaranta voti dal quorum raggiunto parte il grido: «Mafiosi!» E arriva una frase che non si vorrebbe sentire: «Se non basta il Cinquestelle ci sara il momento del bastone». Dal Colonna hotel Palace, affacciato su piazza Montecitorio, i turisti guardano la folla. Clic: foto sullo sfascio dell’Italia. Souvenir di una giornata amara in cui Giorgio Napolitano, per salvare la Repubblica dal baratro dell’impotenza, accetta di farsi crocifiggere. Appena rieletto, gli sputano addosso: «A casa! A casa!». Questa piazza è di Grillo, lo attende, lo invoca, ammutolisce dalla delusione quando dà forfait. E lui fa capire che non è proprio una decisione sua, citando una canzone di Elio e le Storie Tese: « Non potrò essere a Roma perché ho un gomito che mi fa contatto col piede». Massimo Bugani, grillino di Bologna, manda in rete il suo invito ai protagonisti dell’«inciucio»: «Ora imbalsamatevi come i Faraoni e datevi la vita eterna». PEZZO D’ARGENIO SU REPUBBLICA ALBERTO D’ARGENIO ROMA — Le carte sono coperte, ieri Napolitano con i capi partito che sono saliti al Colle non si è sbilanciato su che governo sarà. Ma un indizio dal quale partire per compilare la lista dei futuri ministri il Capo dello Stato lo ha fornito: l’ossatura del programma di governo sarà costituita dal documento che i suoi dieci saggi hanno stilato due settimane fa. Il che porta i leader politici a dare per scontato che molti di quei saggi riceveranno l’investitura di ministro. Con ruoli di peso. E probabilmente la loro composizione, un mix tra tecnici e politici, ricalcherà l’anima dell’esecutivo. Incerta ancora la premiership, a cascata incerti i ministri. Amato, Enrico Letta o Grasso? Sia come sia, il presidente del consiglio potrebbe essere affiancato da due vicepremier di alto profilo per non ripetere lo stesso errore fatto con il governo Monti, azzoppato dai partiti negandogli politici in squadra. E così nel caso a Palazzo Chigi si trasferisca Enrico Letta, i vice potrebbero essere il segretario del Pdl Angelino Alfano e il capogruppo di Sc Mario Mauro, figura molto influente nel partito di Monti. Non dovrebbe entrare al governo la Lega: Maroni schiererà i suoi all’opposizione di un eventuale governo Amato, mentre se il premier sarà un altro gli voterà la fiducia ma non manderà nessun padano nell’esecutivo. Una chance che sfuma per Giancarlo Giorgetti, “saggio” e uomo dei dossier economici in casa Lega. Il Carroccio punterebbe però a diverse presidenze di commissione di peso. In tempi di crisi il compito più gravoso è quello che attende il ministro dell’Economia. Si parla di un uomo di Bankitalia e nel tam tam che si rincorre tra i partiti il nome che emerge è quello del “saggio” Salvatore Rossi, membro del Direttorio di Via Nazionale e in ottimi rapporti con Mario Draghi. In molti a Montecitorio parlano poi della conferma di Corrado Passera allo Sviluppo, anche se il mega-ministero dell’ex banchiere potrebbe essere spacchettato. In quota Pd per i ministeri economici sono in corsa il bocconiano Boccia e il renziano Delrio. Per gli esteri potrebbe essere derby Monti-D’Alema. Il premier uscente, raccontano i suoi, andrebbe volentieri alla Farnesina (anche se ieri scherzava con un collaboratore: «Ma come, non mi volevano rifilare l’economia? Io andrei volentieri in vacanza») per tenere fresca la presenza internazionale e per abbassare la percezione del suo tasso politico, elementi utili per avvicinarsi alla primavera 2014 quando si rinnoveranno le principali cariche dell’Unione (Monti è in corsa per succedere a Van Rompuy alla presidenza del Consiglio Europeo). Ma a guidare la nostra diplomazia aspirerebbe anche Massimo D’Alema, interessato a tornare alla Farnesina per poi prendere il posto di Lady Ashton come “ministro degli esteri Ue”. Si dà invece per scontato che agli Affari europei resterà il montiano (ma non parlamentare) Enzo Moavero, “saggio” e ministro uscente apprezzato da Napolitano e da tutte le forze politiche per il suo lavoro di negoziatore con le Cancellerie continentali. Alla Giustizia, ministero incandescente, potrebbe restare Paola Severino, anche se non si esclude l’ipotesi Grasso (nel caso non sbarchi a Chigi) che oltretutto lascerebbe libera la presidenza del Senato, poltrona utile a favorire un riequilibrio politico nella nuova maggioranza. Altra vulgata indica un Napolitano che guarderebbe a un tecnico di garanzia per tutti come il presidente della Consulta Franco Gallo. Agli Interni si parla di conferma per la Cancellieri, mentre il “saggio” Quagliariello (Pdl) andrebbe alle Riforme. E nel governo potrebbero entrare i “saggi” tecnici Pitruzzella (Antitrust) e Giovannini (Istat). C’è infine un desiderio di Berlusconi: per sentirsi garantito vorrebbe Gianni Letta sottosegretario alla Presidenza del Conglio. REPUBBLICA.IT ROMA - Democratici in ordine sparso, anche il giorno dopo la rielezione di Giorgio Napolitano. Stamattina, sul suo blog, apre le danze Pippo Civati che ieri non ha votato per il bis. E lo fa con un’ironia amara. "Ci manca solo che Grillo candidi Prodi a Palazzo Chigi e che il Pd dica di no perché è un candidato di parte’". E aggiunge: "Potevamo partire da Prodi e Rodotà e invece siamo partiti da Marini o Amato o qualcun altro che parlasse a Berlusconi. E non ci siamo fermati quando abbiamo capito che su Marini non avremmo retto. No, abbiamo deciso di andare in aula così. Del resto, nel 1992 ci fu il duello tra Napolitano e Rodotà sulla presidenza della Camera, che assomiglia moltissimo alla partita attuale. Quelli-di-sinistra-che-odiano-la-sinistra allora come oggi non se lo potevano permettere, evidentemente". Poi è il turno di Rosy Bindi che, ospite di Maria Latella, stronca l’ipotesi del governo larghe intese e l’ipotesi che a guidarlo possa essere Enrico Letta, vicesegretario dimissionario: "Ho grande stima di Enrico Letta e credo che sarebbe molto capace e saprebbe guidare un governo ma di certo questo non è il momento", dice. Analizzando il caso dei franchi tiratori Pd, critica il segretario per la scelta dei parlamentari. E quindi la nuova generazione di deputati e senatori Pd. "Che noi avessimo, e abbiamo bisogno tuttora, di un rinnovamento della classe dirigente, e’ fuori discussione. Che il modo per ottenere il risultato fosse quello che ha realizzato Bersani, mi ha trovato profondamente contraria da molto tempo. Ma soprattutto abbiamo portato in Parlamento, con le primarie, alcune persone che in questi giorni hanno dimostrato di non avere consapevolezza del proprio compito, in un momento in cui va rilanciato il ruolo del Parlamento". Amareggiato a dir poco è Franco Marini, trombato nel primo giorno di votazioni. "Quanto accaduto è più che inaccettabile, è stato volgare e ingiusto", dice. E ancora: "Il Pd deve recuperare credibilità, l’ha persa tutta e non so come ci si possa sedere accanto a interlocutori e leggergli negli occhi la domanda se si possono fidare". E poi: "La mia candidatura era legata a una strategia che torna ora", visto che "Napolitano ora non ha spazi per dire cose diverse dal fare intese anche con il Pdl, non le chiamiamo larghe intese, chiamiamole medie intese...". "Questo partito non lo governa nessuno. La malattia è un dilagare di opportunismo che ha toccato questo nostro partito", dice. Poi l’attacco a Renzi, che l’ha impallinato la sera prima del voto: "Ha un’ambizione sfrenata, la moderi". Per ora c’è c’è molta confusione sotto il cielo democratico. Ieri sono arrivate le dimissioni dell’intera segreteria, ma il presidente dei senatori, Luigi Zanda, si augura che Bersani possa restare. Stessa richiesta da Guglielmo Epifani e Dario Franceschini. Il portavoce nazionale, Andrea Orlando, prova ancora ad aprire ai Cinque Stelle: "I grillini dicevano che Bersani era l’ostacolo, ora che non c’è più ci dicano se sono disponibili a dare un governo a questo Paese", ha detto dopo la rielezione di Napolitano, mentre i grillini erano in piazza a protestare. Forse già martedì ci sarà una direzione per convocare il congresso, che altrimenti sarebbe previsto solo a ottobre. Molto probabilmente non ci sarà una reggenza temporanea di Enrico Letta, la maggioranza del partito preferisce un comitato di reggenti. Ma il vero tema di divisione è il possibile governo di larghe intese. Su questo il partito potrebbe spaccarsi. In particolare, sul nome di Amato come premier. Mentre sul partito già pesa la sfida di Barca - che definisce incomprensibile il no a Rodotà ed Emma Bonino - e Vendola, che dice no al governissimo in gestazione. In prospettiva, l’opzione gauchista in alternativa a quella di Matteo Renzi.