Francesca Schianchi, La Stampa 21/4/2013, 21 aprile 2013
«Adesso il Pd ha l’occasione di cambiare davvero, senza paura. Ci proveremo». A Roma, il presidente della Repubblica è appena stato eletto, tra le proteste dei Cinque stelle dentro e fuori dal Palazzo
«Adesso il Pd ha l’occasione di cambiare davvero, senza paura. Ci proveremo». A Roma, il presidente della Repubblica è appena stato eletto, tra le proteste dei Cinque stelle dentro e fuori dal Palazzo. Nell’Aula di Montecitorio c’è tutta la segreteria dimissionaria, c’è Bersani con le lacrime agli occhi, il vice Enrico Letta, la ex presidente Bindi. Mentre la vecchia dirigenza applaude tristemente l’elezione, a Firenze, il futuro in pectore del partito, Matteo Renzi, vive il suo sabato da sindaco: celebra due matrimoni, inaugura una mostra dell’artigianato, si ritira nel suo ufficio a Palazzo Vecchio. E, a sera, twitta l’apprezzamento a Napolitano («il presidente di tutti») e risponde ai toni incendiari di Grillo («parlare di golpe è ridicolo»). Oltre che, appunto, promettere di provare a cambiare il partito. «A questo punto la sfida per prendere la leadership del partito è ancora più certa: Matteo ha un’autostrada davanti», valuta l’ex ministro renziano Paolo Gentiloni. «L’unica cosa ancora da capire sono i tempi». Una variabile fondamentale, però, quella del tempo. Si andasse subito al voto, con la sua stella che brilla, sarebbe il favorito. Ma con la rielezione di Napolitano si va verso la formazione di un governo, e nessuno può dire quanto possa durare: chi può sapere se Renzi sarà ancora in pole position quando arriveranno le urne. Ma il sindaco, con i suoi, si è mostrato tranquillo: «Radio Parlamento già si affanna a dire che sono finito, se dovesse insediarsi un governo capace di durare. Ma a me non cambia niente uno, due, tre anni: ho 38 anni, ho tempo», ragionava ieri con un amico. Il rottamatore ha dalla sua l’età, e un gradimento costantemente alto: un paio di giorni fa, Swg lo dava al 61%, il più alto fra i leader. Se anche aver sostenuto Prodi senza riuscire a farlo eleggere dovesse costargli qualcosa, pochi punti di differenza non cambiano il dato di una grande fiducia, pensano dalle sue parti: e il dato politico è che ha saputo giocare una partita non marginale sul Quirinale. «Vogliamo dire la verità? – si chiede un renziano di stretta osservanza – la sconfitta di Bersani e del suo gruppo dirigente è l’epilogo della vicenda delle primarie. Con regole veramente aperte avrebbe vinto Matteo, la gente vuole lui». Nell’ambiente renziano soppesano la giornata di ieri e ritengono che molte novità vadano verso un rafforzamento del loro leader. Vanno in quella direzione le dimissioni dello stato maggiore del partito, ma anche la scelta di Vendola di aprire il cantiere di un nuovo partito di sinistra, così come l’endorsement di Barca a Rodotà («singolare e intempestivo», lo definisce il sindaco). Così come i toni incendiari di Grillo che evoca il golpe e la mobilitazione di piazza: «Qual è il volto più spendibile per contrastarlo?», chiedono retoricamente. I tempi sono fondamentali. Legati ai modi. Il sindaco ha sempre chiarito di puntare alla corsa da premier, non all’incarico di segretario. Ieri però a chi gli ha chiesto se si candiderà alla guida del Pd ha risposto evasivo, «da qui al congresso c’è tempo». Chissà se le due figure di segretario e candidato alla premiership continueranno a coincidere, «il Pd è un partito infartuato, potrebbe essere che si cambiano le regole», pensa Gentiloni. Ma se sarà necessario passare dalla sfida interna del congresso per correre quella di Palazzo Chigi, Renzi è pronto, «se devo lo farò», ha detto ai suoi. Certo, rischia di ereditare un marchio parecchio ammaccato. «A noi converrebbe una newco – scherzava ieri con i suoi – ma io non ci penso nemmeno: continuo a credere nel Pd». Tanto che è pronto a conquistarlo.